Russia-Cina, relazione essenziale e ambiziosa

IL COMMENTO. Bastava osservare la composizione della delegazione russa per capire quanta importanza il Cremlino abbia dato a questa ennesima visita di Vladimir Putin in Cina. Diversi vice premier e molti ministri ma su tutte quattro figure di spicco, due new entry e due veterani.

Il neo primo vice premier Manturov, già ministro dell’Industria e del Commercio, e il neo ministro della Difesa, l’economista Belousov da un lato; dall’altro l’inossidabile ministro degli Esteri Lavrov, in quel posto da vent’anni, e l’indispensabile Elvira Nabiullina, dal 2013 il primo governatrice della Banca centrale di Russia. Basta questo dato a far capire due cose. Putin sta superando la fase in cui l’imperativo fondamentale era resistere alle sanzioni e finanziare la guerra e cerca di attrezzarsi per muoversi al meglio in quel mondo nuovo che lui stesso, con l’invasione dell’Ucraina, ha contribuito a definire. In questo mondo, la relazione con la Cina e con l’Asia sta diventando essenziale. Si sa che le forniture cinesi in campo tecnologico sono oggi vitali per la Russia: senza quelle, che soddisfano ormai oltre l’80% delle sue esigenze, la macchina produttiva russa, compreso il settore militare, si fermerebbe. Il rapporto va quindi rinnovato e razionalizzato, tenendo in conto due fattori: le aziende e le banche cinesi non possono tirare troppo la corda per non incappare nelle sanzioni secondarie degli Usa e della Ue e non compromettersi rispetto a mercati per loro assai lucrosi; la politica russa di dedollarizzazione prosegue e la quota delle transazioni in rubli per la prima volta nella storia ha superato il 40% sia nell’export che nell’import. Da qui la presenza contemporanea, a Pechino, dei «vecchi» e dei «nuovi» del governo russo.

Al primo problema la Russia è finora riuscita a rispondere con le triangolazioni, quel trucco per cui Kirghizistan o Armenia (solo due esempi) comprano come mai prima beni di produzione occidentale che poi rivendono, con ricarico, ai russi. Sul secondo occorre mettersi d’accordo, perché il volume degli scambi con la Cina sta raggiungendo livelli record (nel 2023 sono cresciuti del 26% rispetto al 2022, per un valore globale di circa 250 miliardi) e anche Pechino coltiva qualche ambizione per il suo yuan.

Ma nei colloqui tra Putin e Xi Jinping c’è stato spazio anche per una dimensione ulteriore rispetto alle pur fondamentali relazioni bilaterali. Se la Russia ha mollato gli ormeggi rispetto all’Europa e all’Occidente, è chiaro che deve rinforzare il proprio rapporto con l’Oriente. Anche perché Russia e Cina condividono molto in proposito. Entrambe hanno un rapporto privilegiato con l’Iran e con la Corea del Nord, che per noi sono «Stati canaglia» ma per loro sono puntelli indispensabili nella competizione strategica con gli Stati Uniti. E poi c’è il gigante che pian piano si sta aprendo un varco nelle grandi questioni geopolitiche internazionali: l’India. Prima della guerra l’export petrolifero russo verso l’India era quasi risibile, oggi conta per il 40%. Certo, molto di quel petrolio viene riesportato verso Paesi che partecipano alle sanzioni contro la Russia. Ma questo non fa che confermare quanto l’India sia importante nell’economia anche diplomatica della Russia odierna. In più, India e Cina, rivali storiche per la supremazia in Asia, stanno vivendo una fase di disgelo piena di dubbi e incertezze ma comunque nuova rispetto alle vecchie abitudini. E la Russia ha buone relazioni con entrambe. Per finire: le stime del Fondo monetario internazionale ci dicono che nel 2023 la percentuale del Pil mondiale attribuibile ai Paesi del G7 sarà del 29,9% mentre quella dei Paesi Brics sarà del 32,1%. E Russia, India e Cina sono insieme nei Brics.

Diventa quindi riduttivo, e in un certo senso autoconsolatorio, ridurre l’andirivieni tra Mosca e Pechino ai meri bisogni di Putin e alle sottili strategie di Xi Jinping. Molto di più bolle nella pentola dei due leader, che in modo sempre più evidente coltivano l’ambizione di ridisegnare insieme l’architettura delle relazioni internazionali. Non è affatto detto che ci riescano, la potenza militare Usa e quella economica europea fanno un mix difficile da affrontare. Ma che ci stiano provando è più che sicuro.

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