Vent'anni fa l'addio a Quarenghi
Fu il mitico medico dell'Inter

«Rivedo le foto con Herrera e rivedo papà in auto, mentre mi porta sulle Dolomiti per seguire Nones. Viaggiava tantissimo, dormiva pochissimo, era in ascolto degli altri con l'anima spalancata. Prima di morire ci disse: sono stato fortunato, siate serene». È il 17 luglio di vent'anni fa.

«Rivedo le foto con Herrera e rivedo papà in auto, mentre mi porta sulle Dolomiti per seguire Nones. Viaggiava tantissimo, dormiva pochissimo, era in ascolto degli altri con l'anima spalancata. Prima di morire ci disse: sono stato fortunato, siate serene». È il 17 luglio di vent'anni fa.

San Pellegrino al mattino si ritrova per strada, con gli occhi asciutti e un senso di vuoto. Un fiume di gente vuole veder per l'ultima volta il suo dottore, abbracciare la moglie, le figlie. Nella notte del 17 luglio 1992 Angelo Quarenghi, il dottor Angiolino, il dottore della Grande Inter, ma anche di Gimondi, Agostini, Sara Simeoni, si è arreso a un'emorragia celebrale.

È sindaco, ha 68 anni. Da 25 ha smesso di andare ad Appiano Gentile tutte le mattine, tornare a casa, andare in clinica e ricominciare a fare il dottore dei corpi e delle anime, «perché mio padre sapeva soprattutto ascoltare». Il dottore si è tolto il camice ma San Pellegrino non se l'è tolto dalla testa e sabato 28 luglio lo ricorderà con un concerto e una mostra fotografica curate da Michèle Quarenghi, la seconda delle tre figlie del dottore e di Mireille Coryn, mamma belga del Cairo, arrivata a San Pellegrino con la famiglia per le cure termali del nonno. «Il viaggio era nel nostro destino».

Il braccio di Helenito Anche la clinica Quarenghi. La fonda nonno Merino, nel 1924, e oggi «le mie sorelle ed io, con i fratelli del papà e i cugini, continuiamo la tradizione», dice Michèle, direttore generale della Casa di Cura. È un braccio da curare in clinica, invece, a cambiare il destino del papà, nell'estate del 1960. L'episodio è celeberrimo. In clinica arriva un signore con un bambino che si è fatto male a un braccio. Il signore dice in uno strambo italiano di aver bisogno di un medico e del presidente della squadra di calcio locale. «Arriva mio padre, che è chirurgo, si occupa del bambino e dice: sono io il presidente - racconta Michèle -. Il signore si presenta: mi chiamo Herrera, sono il nuovo allenatore dell'Inter. Che ne direbbe di occuparsi dei nostri giocatori, nel caso in cui si facessero male qui in ritiro?».

È il primo incontro tra il dottore e H. H. che a fine ritiro presenta Quarenghi al presidente dell'Inter Angelo Moratti chiedendo di arruolarlo. «Mio padre era l'alter-ego di Herrera, che era uno spagnolo teutonico, rigido, inflessibile. I giocatori avevano un rapporto splendido col papà, che era di fatto un grande psicologo. L'equipe medica all'Inter col dottor Cipolla e il dottor Klinger era avanti vent'anni, trasformò il calcio in un campo d'applicazione scientifica e spalancò a mio padre una seconda carriera nella medicina dello sport».

Il pioniere psicologo «Fumatore allucinante», il dottor Quarenghi è più di un medico. Parla, ascolta, studia i giocatori, ne sonda l'anima. Nel 1965 il periodico sportivo SuperSport pubblica i «raggi x» del dottor Quarenghi, ritratti dei giocatori dell'Inter scritti dal dottore. Un saggio di psicologia sportiva ante-litteram. Di Facchetti scrive che «ha il senso vigile della performance individuale peculiare dall'atletica» da cui viene; per Domenghini che «credo di conoscere meglio di tutti… la sede dell'Inter è più grande di quello che costituiva il suo mondo, questo gli ha procurato un trauma… migliorerà senza dubbio». E poi Mazzola con l'ombra del papà, il raffreddore da fieno di Suarez, la sincerità scomoda di Corso.

Gimondi, Nones, Simeoni All'Inter il dottore resta fino al 1977. Sono gli anni in cui - ricorda la figlia - «esce al mattino, tranne il lunedì, va ad Appiano, torna a San Pellegrino al pomeriggio e va in clinica. Lo vediamo poco, e ricordo le rare vacanze al mare in Calabria, in Toscana. Ma lui era fatto così: orfano a 12 anni, aveva fatto il Liceo degli orfani dei medici a Perugia. Viaggiare era la sua vita».

Anche dopo l'Inter, anche in altri mondi sportivi: Gimondi, Nones, la Simeoni. «Per Gimondi stravedeva, era il suo orgoglio di valligiano, per Nones fece la prima edizione della Marcialonga, senza allenamento e con mia madre in pena: voleva studiare sul campo le condizioni sotto sforzo. Ma restano indimenticabili le serate con Sara Simeoni, qui in clinica, per le Olimpiadi di Montreal (1976) e le prove col sacco a pelo progettato per permettere a Sara di cambiarsi, stare calda, non perdere concentrazione. Mio padre l'adoravano tutti».

Kennedy e la coppa Lo ricordano in molti, vent'anni dopo, a cominciare dalla Coppa Quarenghi, il futuro del calcio internazionale in campo. «C'è lo spirito di papà in questi ragazzi e in un frase di Kennedy che diceva spesso: "Non chiedete cosa possa fare lo stato per voi, chiedete cosa potete fare voi per lo Stato". Mio padre era così». Era Angiolino Quarenghi, il dottore.

Simone Pesce

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