Spesa statale, la crescita per fermare gli eccessi

Se si guardano i dati delle dichiarazioni dei redditi del 2019 si scopre che il 57% degli italiani vive in media con meno di 10 mila euro all’anno. Secondo le valutazioni del Centro studi itinerari previdenziali di Milano si tratta di 14 milioni e 535mila famiglie su un totale di 25,7 milioni. Un Paese povero dunque. E tale è anche considerata l’Italia nella percezione internazionale ovvero quella di area anglosassone e del Centro e Nord Europa, quella che conta. E verrebbe da crederlo se ad un’analisi meno superficiale non si scoprisse che nello stesso Paese convivono alcune realtà che proprio da sottosviluppo non sono.

In Italia vi è la percentuale più alta di case di proprietà, il maggior numero di smartphone, dopo il Lussemburgo la densità maggiore di auto in circolazione, e ogni anno c’è una spesa di 120 miliardi in gioco d’azzardo a fronte di una liquidità su conto corrente di oltre 1.700 miliardi di euro. Cifra che è aumentata nel 2020 al ritmo di circa 32 miliardi al mese. La domanda che sorge spontanea è da dove vengono tutti questi soldi a fronte di una povertà che le dichiarazioni dei redditi confermano diffusa. Potremmo dire direttamente dal 21,18% dei contribuenti sopra i 29mila euro che paga il 71,64% del gettito complessivo dell’Irpef.

E poi da una presunzione che ovviamente scientifica non è ma ha tutti i crismi della logica ovvero che molte delle dichiarazioni di redditi inferiori ai 29mila euro non collimano con la ricchezza presente nel Paese. Dal che si evince che l’Italia è un Paese povero abitato da una buona fetta di benestanti. Un’opinione che andrebbe a formarsi un qualsiasi visitatore della penisola. Una percezione che induce molti migranti a guardare all’Italia come la meta dei loro sogni. Come membro del G7 l’Italia è tra i Paesi più industrializzati e influenti, è Paese fondatore dell’Unione Europea e ha ricoperto gli incarichi più importanti, non ultimo quello della presidenza della Banca centrale europea e del Parlamento europeo con David Sassoli. Un’aurea internazionale che poi fa a pugni con alcuni dati. Alberto Brambilla che da sempre studia il fenomeno Italia ci aiuta a scoprire che su 37 milioni di abili al lavoro, gli occupati sono 23 milioni. La baracca la portano avanti due terzi della forza lavoro utilizzabile. Ed è questo il vero vulnus perché questi restanti 14 milioni circa devono pur campare e quindi si avvalgano di sussidi, redditi di cittadinanza, pensioni spesse volte acquisite con certificati medici di comodo e con l’occhio distratto di chi doveva controllare. E tutto questo a fronte di una crescita di posti di lavoro che l’industria non riesce ad occupare per mancanza di manodopera qualificata. In un Paese in calo demografico è determinante il plusvalore che genera un singolo lavoratore con la sua preparazione e capacità creativa.

Troppa è l’ignoranza creata in questi decenni dove la scuola veniva considerata un qualcosa in più e dove gli insegnanti perdevano prestigio sociale al punto da venire aggrediti a male parole e non solo dai genitori. L’istituzione scolastica nonostante tutto ha retto ed il futuro appare ai giovani sicuramente più promettente in termini di possibilità di studio. Il vero problema restano coloro che hanno perso il posto di lavoro o non l’hanno mai trovato o cercato. Per quelli vanno allestiti centri di impiego che offrano possibilità di riqualificazione e di aggiornamento professionale. È decisivo il coinvolgimento di chi è rimasto ai margini. La creazione di posti di lavoro nei settori che hanno un futuro nello sviluppo economico. E per far questo occorre dare continuità all’azione di governo perché solo la crescita sostenibile permette al Paese di far fronte ad una spesa sociale che è il 54% dell’intera spesa pubblica.

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