Conti pubblici e occupazione, segnali da decifrare

ITALIA. Che Festa dei lavoratori sarà quella di oggi in Italia? Tentare una risposta alla luce delle sole statistiche per una volta consente un po’ di cauto ottimismo.

Rispetto al 1° Maggio di un anno fa, per esempio, i lavoratori nel nostro Paese sono quasi 300.000 in più, fa notare la Cgia di Mestre: nell’aprile 2023 infatti gli occupati erano 23,4 milioni, mentre nel febbraio 2024 (ultimo dato provvisorio dell’Istat) lo stesso indicatore è salito a 23,7 milioni. Le previsioni dicono peraltro che lo stock totale degli occupati crescerà ancora – sempre secondo la Cgia – sfiorando i 24 milioni entro il 2025. Aumenta inoltre, fra i lavoratori dipendenti, la percentuale di quelli con un contratto a tempo indeterminato, l’84% del totale.

Anche sul fronte dei salari, pesantemente intaccati dalla fiammata inflazionistica successiva all’invasione russa dell’Ucraina, qualcosa torna a muoversi nella giusta direzione. La retribuzione oraria media, tra gennaio e marzo, è cresciuta del 2,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’aumento tendenziale degli stipendi è stato del 4,7% per i dipendenti dell’industria, del 2,6% per quelli dei servizi privati e dell’1,6% per quelli della Pubblica amministrazione. Come scrive l’Istat, «continua la fase di recupero delle retribuzioni contrattuali». Si tratta di una prima ricompensa per quegli imprenditori, quei sindacati e lavoratori che, invece di scendere a giorni alterni nell’agone politico in cambio di un po’ di visibilità mediatica, continuano a percorrere la strada silenziosa e laboriosa della contrattazione.

Tutto bene, dunque, nel mondo del lavoro? Non è proprio così. Perché, per dirne una, gli occupati aumentano per numero ma la loro produttività cresce decisamente meno, e inoltre si fa fatica ad aggiornare le competenze dei lavoratori, al punto che molte aziende – piccole e grandi – lamentano una crescente difficoltà a trovare i profili professionali adatti. In aggiunta, sono molteplici i comparti con aumenti salariali nulli, soprattutto nel settore dei servizi, dagli alberghi alle telecomunicazioni, dunque il potere d’acquisto di milioni di italiani rimane fortemente ridimensionato rispetto a due anni fa. Per non parlare della terribile sequenza di morti sul lavoro.

È in un quadro simile che si inseriscono le politiche dell’attuale governo. Ieri, in Consiglio dei ministri, l’esecutivo è tornato sulla maxi deduzione al 120% per le assunzioni, già contenuta nella legge delega, precisando – in attesa dei decreti interministeriali - che «si debba erogare alle imprese che fanno occupazione a tempo indeterminato e a quelle in particolare che occupano soggetti in situazione particolari, elevando il tetto dal 20 al 30%». Sempre ieri è arrivato il via libera a un bonus da 100 euro, nella busta paga di gennaio 2025, per i redditi da lavoro dipendente fino a 28mila euro con un figlio a carico. Da una parte si incentivano le assunzioni, dall’altra si manda un segnale anti-inflazione. La filosofia di fondo è dunque condivisibile, così come è positivo che il Governo Meloni insista nel concentrare sul lavoro le poche risorse pubbliche a disposizione, come già fatto con il taglio del cuneo fiscale in Legge di bilancio, invece che su misure che disincentivano il lavoro come il reddito di cittadinanza.

Tuttavia non possiamo nasconderci che molte imprese – considerato l’andamento del mercato del lavoro – oggi assumerebbero comunque, con o senza incentivo pubblico, e che 100 euro una tantum sono un contributo davvero contenuto. Del Consiglio dei ministri di ieri, semmai, è da apprezzare qualcos’altro: l’attenzione ai conti pubblici, ribadita a più riprese dal viceministro dell’Economia Leo in conferenza stampa, che ha impedito di impelagarsi in nuove misure «a effetto», finanziate indebitandosi, che nei prossimi anni si sarebbero trasformate in ulteriori tasse per i soliti lavoratori.

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