Donadoni dribbla ancora: «Atalanta, grande stagione. Io attendo una panchina» - Video

TIME OUT SPORT FESTIVAL. L’ex ala nerazzurra: «I miei migliori tecnici nel vivaio». E 38 anni dopo incontra il tifoso a cui donò la maglia.

È tornato nella sua terra Roberto Donadoni, ex giocatore dell’Atalanta, pluricampione con il Milan e già ct della Nazionale azzurra. Originario di Cisano Bergamasco, l’ex calciatore domenica 5 maggio è stato ospite a Sotto il Monte per l’ultimo appuntamento del «Time | Out sport festival», organizzato da HServizi spa e Unica Sport Ssd, e si è raccontato dialogando con il giornalista Xavier Jacobelli alla presenza, anche, del vicecapo di Gabinetto del ministero per lo Sport e i Giovani, Daniele Frongia.

«Vivere nel presente per costruire il domani»

«Non amo ricordare i numeri della mia carriera – ha esordito Donadoni -. Credo si debba vivere nel presente per costruire ogni giorno il proprio domani». Nel suo c’è la voglia di allenare ancora: «Sono in attesa dell’occasione giusta per poter fare il mio lavoro».

Diversi tecnici importanti nella sua carriera: Sonetti, Sacchi, Liedholm, Capello, Zaccheroni e Bianchi, «ma quelli fondamentali – ha sottolineato l’ex ct – restano i vari Bonifaccio, Scarpellini e Cadè che mi hanno seguito nel vivaio atalantino fino all’arrivo in prima squadra, perché sono quelli che mi hanno dato una formazione di un certo tipo, mi hanno aiutato a formare il carattere e insegnato a stare con i compagni di squadra».

«I giovani? Sembrano forti e coraggiosi, ma in realtà sono molto fragili. Se hanno delle lacune, evitano di affrontarle. Invece bisogna avere il coraggio di sbagliare. Il bravo allenatore, il bravo educatore deve insegnarglielo»

Dall’Atalanta al passaggio al Milan, quando sembrava fatta per la Juve («Sono sempre stato tifoso milanista. Per me era il coronamento di un sogno») al calcio italiano che fa fatica a cambiare «perché si fanno sempre le stesse cose». «Per cambiare, invece, bisogna lavorare insieme. Serve uno spirito corporativo e collaborativo». Quelli che sono cambiati sono invece i giovani: «Sembrano forti e coraggiosi, ma in realtà sono molto fragili. Se hanno delle lacune, evitano di affrontarle. Invece bisogna avere il coraggio di sbagliare. Il bravo allenatore, il bravo educatore deve insegnarglielo. A 10 anni devono divertirsi ancora, non inseguire il risultato perché non è così che si costruisce il loro futuro. Non solo. Quando un ragazzino vuole smettere di giocare perché non sta bene in un gruppo, è l’educatore che deve intervenire perché se non sa far convivere questi ragazzini meglio che cambi lavoro».

E poi l’Atalanta ancora in corsa su più fronti: «Una stagione senza precedenti, ma nulla arriva dal caso. Lavoro, impegno e programmazione ti portano a questi risultati. Mi auguro riesca a portare a casa qualcosa».

L’incontro con il tifoso

Dal campione all’uomo, quello che ha donato milioni di mascherine quando durante il Covid erano introvabili e che 38 anni fa aveva suonato al campanello di casa di un bambino di 5 anni, Juri Mazzoleni, che voleva la sua maglia, incontrato prima all’ospedale di Bergamo dove il piccolo era ricoverato per un problema cardiaco e poi su un campo di calcio. E che domenica Donadoni ha rincontrato a sorpresa.

Dal canto suo, invece, il vicecapo di Gabinetto Frongia ha posto l’attenzione sull’impegno del governo, approfittando degli Europei del 2032, per ristrutturare diversi stadi italiani e non solo i cinque interessati dall’evento. Frongia ha infine ricordato l’inserimento dello sport nella Costituzione che ne riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico: «Un passo importante – ha concluso Frongia -, ma non sufficiente. Ora tocca a forze politiche, amministratori locali e movimento sportivo stesso attuare questi valori e trasformare lo sport in un diritto, ma averlo in Costituzione significa che non sarà più pensabile, tra qualche anno, avere scuole senza una palestra, in un Paese che è al primo posto per numero di giovani e giovanissimi obesi».

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