Da Gorle
alla corte di Dior

La reminiscenza più antica che Alessia Perego – 26enne di Gorle – abbia di se stessa, dice molto dell’adulta che sarebbe diventata. «Inizio della scuola materna, orario del ritiro: mentre i miei compagni si buttavano tra le braccia delle madri – presumibilmente dopo aver passato la giornata a piangere per il distacco – io mi aggrappavo con tutte le forze alle gambe del tavolo perché non volevo tornare a casa. Mamma Paola, ormai, lo racconta divertita: ma in quel momento ha seriamente temuto che le maestre pensassero che subissi maltrattamenti tra le mura domestiche».

Non sorprende che a distanza di una decade quella cocciuta frugoletta si sia guadagnata il titolo di «Miss Personality» (sì, proprio: «signorina personalità») sull’annuario della «high school» di Caddo, Oklahoma, suo domicilio durante l’anno da borsista Intercultura. «Fu allora che capì quanto mi piacesse vivere all’estero. Ero in dubbio sul partire, poiché puntavo a diplomarmi con 100/100 al Mascheroni: temevo di pregiudicare la media. Fortunatamente, mamma mi fece riflettere sul fatto che si trattasse di un’occasione da non perdere. E l’agognato 100 arrivò comunque».

Oggi – dopo un camp estivo a Yale, sei mesi in un’università brasiliana, uno da volontaria in India («i bambini dell’orfanotrofio mi chiedevano continuamente degli autografi: non avevano mai visto una persona che non fosse indiana») e una laurea specialistica a Parigi – Alessia risiede a Copenaghen.

Da un anno e mezzo si occupa di controllo di gestione per Dior Parfums, concentrandosi sui quattro paesi nordici (Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia). «Verifico i risultati di vendita, il consumo di tester e campioncini, così come l’andamento dei singoli negozi e delle linee commerciali. Mi interfaccio con i tre direttori – generale, finanziario e marketing – e partecipo al processo budgetario: previsioni di vendita, su quali prodotti puntare e come distribuire le risorse. È un mestiere che amo: del resto avevo sempre desiderato operare nel campo del lusso. Mio zio era dipendente di Bulgari e mi affascinavano gli aneddoti che sciorinava: ad esempio, grazie a lui so che nelle pubblicità degli orologi le lancette indicano costantemente le 10.10, per mettere in risalto il quadrante».

Mentre si trova a San Paolo («L’esperienza più bella della mia vita: non fosse perché il Brasile è una nazione un po’ pericolosa, ci sarei rimasta per l’eternità. Merito degli abitanti: calorosi, gioiosi e cordiali») scopre che nel Vecchio Continente esiste un ateneo di scienze economiche e manageriali che può aiutarla a concretizzare il suo sogno: è l’Essec di Parigi, legato a doppio filo al mondo del lusso e capace di garantire sbocchi professionali con le aziende del settore. «Inoltre avrei imparato una nuova lingua. Decisivo fu scoprire che il Financial Times l’aveva collocata tra le prime università al mondo: lo confesso, non ho mai smesso di ragionare da secchiona».

Nel 2013 – fresca di laurea triennale in Economia alla Bocconi (con 110 e lode, ça va sans dire) – la neodottoressa si trasferisce nella Ville Lumière. «Venni a conoscenza di un contratto speciale che si usa in Francia, chiamato “apprentissage” e basato sull’alternanza scuola/lavoro. A seconda dei trimestri, lavoravo due giorni e ne studiavo tre, o viceversa; in cambio, l’azienda corrisponde uno stipendio e si fa carico della retta». Accedendo al portale della facoltà, si imbatte in un annuncio di Dior Parfums: la convocano per un colloquio e, dopo qualche settimana, timbra il cartellino ogni mattina negli uffici di avenue Hoche, in qualità di revisore interno. «Viaggiavo parecchio: dovevo recarmi nelle filiali estere per controllare che le tutte loro procedure fossero adeguate».

Passa qualche mese e nel gruppo si apre una posizione relativa al controllo di gestione, che però implica il trasferimento in Danimarca. «Ero desiderosa di mettermi alla prova altrove e sono felice di aver seguito il mio istinto. I danesi sono un popolo accogliente e attento al privato. Sono gentili: il mio capo sa che il fine settimana torno spesso a Bergamo dalla famiglia e dal fidanzato e mi obbliga a prendere il volo del pomeriggio - anziché quello della sera - perché vuole che mi goda gli affetti. Non a caso la maternità retribuita al cento per cento dura un anno ed è prassi che il giorno del compleanno dei propri figli si rimanga in ufficio solo part time per poter festeggiare insieme. Si spengono i computer alle 17 e chi rimane oltre viene visto di cattivo occhio: lo considerano inefficiente, poiché non ha completato le mansioni entro l’orario prestabilito».

C’è persino un termine - «Hygge» (da pronunciaris «ugghe») - coniato per descrivere il modus vivendi dei danesi e inserito dall’Oxford dictionary tra le parole imprescindibili del 2016. Identificare un traducente in un altro idioma è pressoché impossibile: significa creare un’atmosfera accogliente, intima, all’interno della propria abitazione; sorseggiare bevande calde a lume di candela, circondati dai propri cari. «In inverno è impossibile sottrarsi al ricreare un ambiente “hygge”. In estate tutto cambia: con lo spuntare del sole, i bar e i parchi si affollano, al punto che ogni volta mi chiedo da dove salti fuori tanta gente. Sarà che il chiaro dura fino alle 23».

Lavorare nel settore della cosmetica ha cambiato le abitudini di Alessia. «Da quando sono in Dior, complice il fatto che ci regalino molti prodotti, mi trucco di più. C’è una piccola regola non scritta: bisogna usare soltanto le fragranze del brand. I primi tempi mi spruzzavo Miss Dior, ma ora preferisco qualcosa di più identificativo: un profumo della Collection Privée – una linea di lusso che qui nei “Nordics” nemmeno distribuiamo e che in Italia si trova in pochi punti vendita – di nome La colle noire».

Il futuro? «La Danimarca , con la sua attenzione alla vita privata, mi ha aiutato a capire che la carriera non è tutto e gli affetti non vanno trascurati. Il mio fidanzato, Giovanni, vive a Milano: sarebbe bello accorciare le distanze. Dove andrò? Chissà. Mi piacerebbe tornare in Italia, ma mi blocca sapere che la mia età verrebbe considerata un limite: avrei meno responsabilità e una retribuzione decisamente più bassa rispetto a oggi».

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