Da Mosca alla Cina
«Perchè no?»

È lontana dall’Italia e da Bergamo dal 2008, l’anno della svolta decisiva. La Smigroup di San Giovanni Bianco, per la quale lavorava in quel momento, le propone di assumere la direzione generale della filiale di Mosca per riorganizzarla, svilupparla e potenziarla.

Alessandra, allora trentenne, con in curriculum una laurea in Risorse umane, conseguita con la lode all’Università Cattolica di Brescia, e un Executive Mba in Bocconi (un master altamente qualificato in Business administration), senza esitazione, accetta la sfida come un’occasione di crescita personale e professionale. E da Mosca poi si è spostata ancora più a Est, nella Repubblica popolare cinese, per avviare una start up per Alimac, leader nella produzione di maniglie adesive per l’imbottigliamento e il confezionamento.

Ma andiamo con ordine. Alessandra Modica Agnello, oggi 38enne, dopo essersi diplomata al liceo linguistico, si iscrive all’università. È vicina alla laurea quando le viene proposto uno stage della durata di sei mesi (che diventeranno 12) nel Gruppo Unilever, la multinazionale anglo-olandese che poi diverrà oggetto della sua tesi. Questa sua iniziale esperienza segnerà, di fatto, il primo passo di un lungo percorso di formazione e specializzazione nel settore «food & beverage». Unilever è, infatti, proprietaria di molti tra i marchi più diffusi e famosi nel campo dell’alimentazione e di bevande.

Viene poi assunta dall’azienda bergamasca Smigroup, leader a livello mondiale nella produzione di macchine d’imballaggio e impianti di imbottigliamento, con la quale si recherà per brevi trasferte sia in Russia che in America centrale e meridionale. Trascorrono così circa quattro anni sino ad arrivare alla proposta che l’azienda le fa di trasferirsi a Mosca per un tempo relativamente breve (circa un anno, un anno e mezzo nei piani iniziali ma che, in effetti, si prolungano a sei).

«Perché no?» si chiede Alessandra che sceglie di volare alla volta della capitale russa a dispetto di chi definisce i giovani italiani come «sdraiati», (dal libro così intitolato del giornalista Michele Serra ndr), perennemente attaccati al divano, poco disposti a staccarsi dal proprio rassicurante ambiente.

«Già durante il mio percorso di studi avevo accarezzato l’idea di un lavoro all’estero perché ho sempre amato viaggiare e “conoscere” il mondo per acquisirne una visione globale, ma anche perché sono convinta che il ventaglio di opportunità e di vantaggi al di là dell’Europa sia più ampio e diversificato» racconta e continua «avevo 30 anni quando ho deciso di mettermi in gioco. Sono partita, da sola, con un po’ di apprensione ma sicura che il mio bagaglio fosse sufficientemente carico di esperienze. L’unica remora era la lingua, in compenso parlavo bene inglese, francese e spagnolo».

«La Russia – prosegue – non è un Paese facile, come non è facile essere fermati a un posto di blocco con i poliziotti che, imbracciando e puntando i kalashnikov, ti intimano di mostrare i documenti. Non posso negare che l’inizio è stato irto di difficoltà: per la lingua, per il clima, per riuscire a inserirmi nel contesto sociale e culturale della città e, non ultimo, per la lontananza dai miei affetti più cari, genitori e amici. In compenso il lavoro mi piaceva e mi gratificava e, così, con il passare dei mesi, sono riuscita a integrarmi in modo del tutto naturale. Ho studiato il russo, ho intessuto rapporti di amicizia che durano tuttora e mi sono ambientata al freddo intenso e pungente di quella che è considerata, a ragione, una delle città più fredde del mondo, dove le temperature invernali toccano i -27°. E quando le strade sono ricoperte di lastre di ghiaccio, muoversi diventa davvero complicato. Per fortuna, poi, il cammino è stato tutto in discesa; superato lo scoglio linguistico ho potuto apprezzare ciò che questa grande metropoli offre: arte, cultura, musei, divertimenti. Basti pensare che a Mosca ci sono più di 30 teatri. Lì ho anche potuto mantenere viva la mia passione per il pianoforte prendendo lezioni la sera tardi, dopo il mio impegnativo orario di lavoro».

È appena tornata dalla Russia quando un’azienda di Varese, la Alimac, leader nella produzione di maniglie adesive per l’imbottigliamento e il confezionamento in genere, la contatta. La alletta con un’importante proposta: creare una start up produttiva, sempre nel settore del beverage, nella Repubblica popolare cinese. Sede: la popolosa e cosmopolita Shanghai, quella che viene definita la perla d’Oriente, la capitale economica, dove molte sono le imprese italiane e straniere che hanno delocalizzato e stabilito lì una forte presenza, espandendo le loro attività in uno dei mercati più ricettivi e, soprattutto, ancora in crescita per la migrazione altamente qualificata e in cui il nostro Paese è ben rappresentato.

«Se a Mosca il mio compito era quello di coordinare e ampliare un’attività già costituita – considera – ora si trattava, invece, di partire da zero, avviare l’impresa con l’incarico di direttore generale, costituire e organizzare una realtà produttiva di macchinari destinati al beverage e di maniglie adesive destinate alla Cina e a tutto il Far East, ma soprattutto, introdurre su larga scala un concetto di packaging completamente nuovo per il Paese».

Un cambiamento che portava con sé responsabilità nuove e più grandi, ma anche un’importante evoluzione nella sua già brillante carriera. «E così da circa un anno vivo a Shanghai. Anche in Cina le difficoltà iniziali sono state notevoli, mi sono subito resa conto che, anche se i due Paesi per certi versi sono simili, ad esempio per quanto riguarda la burocrazia, era impensabile poter riprodurre il modello e l’impostazione adottati a Mosca. Ho dovuto essere flessibile e adattarmi ai loro modi e ai loro ritmi. Ho iniziato a studiare il cinese che, come si sa, non è proprio la lingua più facile del mondo ma che col tempo è diventata un’altra mia passione a cui dedico un impegno quotidiano e che ha affiancato, ma non sostituito, quella per il pianoforte. In verità la città mi ha conquistata subito grazie allo spettacolo unico del suo skyline al tramonto e perché, giorno dopo giorno, si apre a nuove scoperte, da quelle architettoniche a quelle antropologiche. I cinesi adorano l’Italia e, per la proprietà transitiva, vanno molto d’accordo con gli italiani a cui invidiano l’eleganza, la cultura, le città d’arte, la musica e la cucina». Alessandra è convinta che dovrà alternarsi tra l’Italia e Shanghai ancora per un paio d’anni, il tempo che di solito serve per creare una start up innovativa e consolidata, ma si dice certa che il suo avvenire non sarà lì, nella città dalle mille contraddizioni, in cui tutto corre troppo velocemente.

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