Dalla Legler a Parigi
«Taglio» ora è sarto di lusso

Lo hanno sempre chiamato «Taglio», principalmente per via del suo cognome. Daniele Taglietti non poteva avere un nome più azzeccato, lui che nella vita taglia e cuce e lo fa con grande passione tanto che l’antico mestiere del sarto lo ha portato nella città europea della moda per eccellenza: Parigi. A lui viene da sorridere nel raccontare la sua avventura, un misto di casualità, o «forse destino» commenta, e appassionata testardaggine. Proprio com’è lui.

Da Torre Boldone, dalla Legler e da un marchio tutto suo – «Taglio sartoriale» appunto – al sogno della vita: a 35 anni fa il sarto modellista per una casa di moda come quella di Cerruti 1881, acquisita da un grosso gruppo cinese che ha avviato da sei stagioni una linea Luxury per uomo. «Io che sapevo solo l’italiano (e il bergamasco), ma soprattutto che fatico a imparare le lingue straniere, ora mi sono pure innamorato di una francese» scherza Daniele che, insieme a Claire, diventerà genitore il prossimo settembre. «Un parigino doc – scherza –? Credo imparerà prima il bergamasco, anche se Claire, come tutti i francesi, è molto esigente e vuole da me una parlata perfetta… Missione impossibile».

Scherza sempre «Taglio», con il suo modo di fare amichevole, il tono gioviale, l’entusiasmo che lo contraddistingue fin da quando a Bergamo gestiva l’Associazione culturale «GattoQuadrato». Tutti quelli della sua generazione in città lo conoscono, per le sue creazioni sartoriali, la sua vitalità e il suo amore sfrenato per Bergamo: «È la città che meglio mi sta cucita addosso – dice –, ma devo ammettere che anche Parigi ha un bel taglio». E anche se il tempo passa e non è più il ragazzetto che organizzava le manifestazioni culturali del parco Loreto d’estate, «sono quello di sempre, con un bagaglio alle spalle di chilometri di filo cucito».

Tutto però parte con un fallimento: «Lavoravo per la Legler e quando ha chiuso ho dovuto decidere cosa fare della mia vita. Amavo quell’azienda, che mi ha dato tantissimo: grande esperienza sui tessuti, un amore folle per la stoffa». Fin da bambino del resto: «Mia mamma faceva la sarta e io ho imparato da lei: mi cuciva i vestiti per il Big Jim e, me lo ricordo ancora, a 13 anni ho cominciato a usare da solo la macchina da cucire e a fare di testa mia. Altro che soldatini e costruzioni, io volevo costruire vestiti». Poi c’è la Legler: «Otto anni tra le tinture: quell’esperienza mi ha insegnato un mestiere incredibile». Ma arriva la cassa integrazione: «Avevo il diploma di chimico, e ho deciso di rimettermi a studiare, di fare quello che ho sempre sognato, ma non m’interessavano le scuole di moda: mi sono sempre sentito un artigiano creativo».

Nel settembre del 2008 Daniele si iscrive quindi alla Scuola di Alta sartoria maschile di Milano: «Studiavo e lavoravo per farmi le ossa da Caraceni, ma anche da Enrico Livio Colombo in via Senato – racconta –. Poi iniziai a cucire anche i miei primi abiti sartoriali con l’etichetta “Taglio sartoriale”: capi su misura, con una mia visione, un taglio originale, ma anche l’abito classico da uomo tutto fatto a mano e personalizzato sul cliente – spiega –. A Bergamo ho vestito parecchi giovani, amici e amici di amici». Un lungo elenco: «Cucivo anche quattro abiti sartoriali al mese, e questo mestiere mi ha messo una gran voglia di specializzarmi sempre di più: da qui mi sono rimesso a studiare come modellista all’Istituto Carlo Secoli». E aggiunge: «In fondo qual è il vero respiro della moda? La sartoria».

Esperienze che lo hanno portato a pensare a un progetto tutto suo: «Aprire un atelier. L’avrei chiamato “Taglio sartoriale”, ma arriva una proposta che non mi lascia neppure il tempo di pensarci: il mio docente di Milano, Giovanni Pandini, mi propone nel 2012 di seguirlo a Parigi: era stato chiamato da Cerruti 1881 per avviare da zero l’atelier per la prima linea Luxury. Ho fatto la valigia in un attimo, con dentro un bel vocabolario di francese».

Difficile ambientarsi? «Ho fatto come da mia abitudine: ho cercato altri bergamaschi. Credo molto nel gruppo, nella mia terra e nel senso di comunità che ci appartiene: da qui, tramite una rete di bergamaschi nella capitale, ho trovato pure casa». Uno studio di 16 metri quadrati vicino Notre Dame: «Non potevo chiedere di più: mi mancava la preparazione da modellista, la tecnica industriale, e con questa esperienza ho spiccato il volo come sarto atelierista».

E aggiunge: «Parlando italiano, fortunatamente, dato che in sartoria resta la prima lingua» ride Daniele, con una sua giacca che nel 2013 sfila per la prima volta in passerella: «Emozione incredibile e il sogno che si realizza: un capo in voile, popeline leggerissimo del Cotonificio Albini, di Albino. Un capo tutto fatto a mano». Ma il sogno non è solo lavorativo: «Parigi mi piace viverla, è entusiasmante: la giro in bicicletta, studio francese seguendo i corsi organizzati dal Comune, e ho da subito creato una rete di amicizie, molte made in Bergamo». Con una curiosità che fa sorridere: «Quando ero a casa ero appassionato di BikePolo, sport poco conosciuto e decisamente di nicchia in Italia, ma a Parigi ci sono i campioni del mondo di questa disciplina, che ora sono miei amici – e ride ancora –. Capita di giocare insieme anche se sono sempre molto cauto: ho paura di farmi male alle mani e per un sarto sarebbe un disastro». E allora meglio godersi una passeggiata lungo la Senna: «E girare, girare come una trottola: ovunque io vada resto a bocca aperta dalla meraviglia».

Come una meraviglia è stato l’incontro con Claire: «C’è lo zampino bergamasco anche qui: lei, francese di Grenoble e da dieci anni a Parigi, conosceva una mia amica bergamasca, Adriana, che lavorava nel negozio di Daniela Gregis, stilista di Città Alta, a Parigi». È lei che fa da gancio, fino a uno scambio di auguri via Facebook: «Claire mi aveva chiesto l’amicizia sul social network e il 1° luglio 2013 mi inviò un messaggio in francese per augurarmi buon compleanno. Le risposi con un francese scritto sgrammaticato e abbiamo così scoperto di essere nati lo stesso giorno». Immancabile il primo appuntamento con pic-nic sulla Senna: «È stato amore a prima vista e a settembre arriva il nostro bimbo o bimba, chi lo sa».

Un abitino su misura di certo non mancherà: «Anche Claire lavora nella moda, e ora io non credo potrei più abbandonare questa città: a Parigi mettersi in gioco dà dei risultati; credere in un progetto, investire su se stessi, permette di raggiungere il successo. Qui le idee vengono premiate e non sono considerate folli o astruse: sono un’opportunità». E allora il rimpianto c’è: «Perché Bergamo potrebbe essere più frizzante, alternativa, potrebbe e dovrebbe osare di più. Per mettersi in gioco».

Come ha fatto lui, del resto, con le sue mani, quel taglio sartoriale che gli resta in testa come nome di un progetto che non vuole mettere in un cassetto: «Magari apro qui a Parigi un mio piccolo atelier – e saluta via Skype, pronto per una mattinata di BikePolo a Les Invalides –. Però lo dico, sul serio: Bergamo, nel cuore, resta il mio miglior vestito».

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