«I miei gioielli di diamanti
da Gorle a New York City»

L’atelier è all’ultimo piano di un palazzo sulla Quinta Strada: dalla scrivania vede l’Empire State Building, ma anche l’edificio più famoso di New York passa in secondo piano, oscurato dal luccichio dei diamanti che Silvia Paulon Moreno ha sul suo tavolo, tra il computer e il blocco dei disegni: enormi, purissimi, dai tagli e dalle carature più incredibili.

Direttore creativo di Golkonda, lei è sempre andata pazza per i gioielli, ma non avrebbe mai pensato di finire circondata dalle pietre «più belle, nella città più incredibile del mondo» sorride la 24enne che da Gorle di viaggi in giro per i cinque continenti ne ha fatti parecchi: «Ma Bergamo è la mia casa ed è lì che torno sempre, perché per me significa famiglia». E mentre Silvia lo dice, il suo sorriso si fa ancora più grande, bellissima da mozzare il fiato tra gli occhi chiari e le gambe chilometriche che finiscono in un paio di tacchi a spillo molto glamour per la Grande Mela. «Sono un po’ figlia del mondo, ma con un porto sicuro a Gorle dove vivono mia madre e i miei nonni paterni». E la storia della sua famiglia fa davvero il giro del pianeta: «Mio nonno è originario del Veneto e a 20 anni si è trasferito per lavoro a Bergamo dove ha conosciuto mia nonna, Andreina Rossi, originaria di Castione – racconta –. Mio padre nasce quindi nella Bergamasca e studia a Milano dove al Politecnico diventa ingegnere e inizia subito a lavorare all’estero, impegnato in grandi opere di costruzione, come la realizzazione di metropolitane e centrali idroelettriche». Ma non finisce qui: «In Colombia per lavoro conosce mia madre e insieme vanno, sempre per gli impegni di mio padre, in Paraguay: è qui che nasco io».

Ma a due mesi Silvia viene portata a Bergamo: «Mio padre voleva che la nostra famiglia avesse una base e qui c’erano i nonni: sono cresciuta tra Bergamo e le città dove mio padre lavorava, cambiavo Paese ogni tre anni circa e in mezzo c’era sempre un anno di pausa a Bergamo». Silvia continua ed elenca le tante città e nazioni che ha conosciuto da piccina: «San Francisco, Boston, e poi ho vissuto in Cile, Colombia, Thailandia e Danimarca. Ho sempre parlato italiano in casa e frequentato scuole italiane, fino all’età di 15 anni quando sono rientrata a Bergamo dove mi sono iscritta al liceo scientifico al Sant’Alessandro, fino all’anno della maturità che ho invece frequentato in Cile».

L’adolescenza Silvia la ricorda con gli amici di scuola, tra Bergamo e Gorle dove con la famiglia si era trasferita: «Anni felicissimi, proseguiti dopo il Cile: a 20 anni sono ritornata e mi sono iscritta allo Ied di Milano». E qui si riattiva quella passione per i gioielli che aveva fin da bambina, quando Silvia li collezionava «e mio padre si arrabbiava che spendevo tutta la paghetta in bijoux. Passione per bracciali e collane, ma anche amore per il disegno che non mi ha mai abbandonata – spiega –. Avevo pensato di studiare Architettura, ma ho seguito l’istinto e i miei sogni: volevo specializzarmi in qualcosa che amavo, essere concretamente artefice di un progetto». E proprio durante il corso allo Ied, lei che leggeva e rileggeva la storia di Paloma Picasso e del mondo di Tiffany&Co., riceve la proposta di uno stage a New York: «A 22 anni sono partita e non sono più tornata: dopo un anno con questa designer, ho aperto il mio brand, “Siias”, e ho iniziato la prima collezione, ma poco dopo aver realizzato i prototipi, a una festa a Tribeca un amico italiano mi ha fatto conoscere Vinit Mehta, di origini indiane, imprenditore nel mondo dei diamanti: la sua famiglia è storicamente tra le più importanti produttrici e distributrici di diamanti nel mondo». Ma Mehta non vuole solo distribuire pietre: «Voleva creare un prodotto finito, dare il via a una griffe con il nome della storica miniera di famiglia che dal 1800 ha fornito i diamanti ai più grandi orafi internazionali».

Nasce così Golkonda: «I miei lavori sono piaciuti a Vinit e sono diventata così il direttore creativo della griffe, all’insegna di pietre preziosissime, gioielli tempestati di diamanti purissimi e dal design raffinato».

Gioielli incredibili dato il valore: «Creo più linee e molti dei nostri gioielli sono alle aste più famose del mondo, da Christie’s a Sotheby’s. Abbiamo anche richieste private, per realizzare pezzi unici, partendo appunto da una pietra particolare» spiega Silvia che è legata ad alcuni anelli: «C’è Infinity ring, che andrà all’asta a Hong Kong: un solitario in cui la pietra è incastonata in maniera molto pulita per renderla più visibile nella sua magnificenza e la cui forma dell’anello sembra il segno dell’infinito – dice la bergamasca –. Molto amato il Double ring che è un anello doppio, così come è famosa la nostra collezione “The Honey Comb”, che significa alveare: i diamanti hanno un particolare taglio esagonale di cui abbiamo il brevetto esclusivo». E poi collane e bracciali, un sogno per chi ama i gioielli: «Un mondo luccicante, non c’è che dire, ma anche molto faticoso: si lavora tantissimo sia nella progettazione e nel design sia nel rapporto con la clientela. Data l’esclusività del prodotto, questi gioielli sono spesso e volentieri protagonisti di party e prime in una città come New York che non dorme mai».

E Silvia lo ammette: «Dopo il lavoro in atelier e le tante feste e riunioni a cui devo presenziare, il mio tempo libero lo trascorro a casa, molto volentieri». Ha un appartamento poco distante dalla Quinta Strada: «Cucino, quasi sempre italiano, dormo tantissimo e sto su Skype con la mia famiglia e gli amici di sempre». Ma non mancano le passeggiate a Central Park, qualche aperitivo tra Soho e Tribeca: «New York è una città senza sosta, ed è anche molto faticosa, ma sa ripagarti degli sforzi. Il sogno americano esiste, siamo in un Paese meritocratico: non si guarda all’età, all’esperienza, ma alle idee, alla volontà, all’entusiasmo e alla passione. Tutto è velocissimo e bisogna essere molto abili a cogliere l’attimo, la giusta occasione».

E Silvia non si è fatta sfuggire le opportunità: «Mi sento artefice del mio destino e amo quello che faccio». La grande mancanza sono gli affetti, la famiglia lontana e gli amici, con la voglia di tornare ogni tanto a Bergamo: «Rimpiango la sua misura d’uomo, la qualità della vita, la sua comodità». Poi sorride: «E rimpiango il gelato di Gorle». In una città come New York dove tutto si trova e tutto è possibile? «Ve lo garantisco, la Gelateria artigianale di Gorle è il primo posto dove vado quando torno».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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