Innamorata dell’Australia
ora è a Sidney per Pirelli

Se la sua vita fosse un colore, sarebbe certamente il verde. Verde come i suoi occhi, che a tratti si arricchiscono di striature celesti. Verde come quella foto che il suo amico Ryan le mostrò dieci anni fa, mentre entrambi abitavano a Barcellona: era stata scattata a Darwin, in Australia. Un’immagine che Flavia Maffeis, 29enne di Mozzo, ha ancora ben scolpita nella testa: «Raffigurava una spiaggia, sullo sfondo della quale si ergeva, maestosa una foresta tropicale: un verde accecante, di una gradazione che mai avevo visto prima; tanto luminoso, da sembrare fosforescente». In quel frangente Flavia decise che quel luogo, l’Australia - fino a quel momento soltanto un pensiero che le ronzava nella testa - sarebbe diventato la sua casa.

Una conclusione alla quale era arrivata poco a poco. Nonostante i 22 anni, aveva già vissuto a Londra e a Barcellona. Della prima amava la lingua (l’inglese, del resto, era la sua materia preferita al Vittorio Emanuele, dove si era diplomata in turismo). Della seconda, adorava il clima. L’Australia rappresentava la perfetta sintesi dei due aspetti: una meta anglofona, ma con il sole. Non Darwin, però, bensì la più cosmopolita Sydney. È lì che la bergamasca risiede da otto anni: si è laureata in Business, con specializzazione in gestione turistica, alla Kaplan University e da un biennio è in Pirelli come responsabile marketing.

«Sono arrivata a Sydney con una valigia delle dimensioni di un bagaglio a mano e senza grandi piani: basti pensare che ho scelto in quale ostello dormire soltanto una volta atterrata, chiedendo consiglio in aeroporto. Ero carica di aspettative ed è stato spiazzante che del sole che tanto avevo bramato non vi fosse traccia: per i primi giorni non ha fatto che piovere. Mi sentivo un po’ disorientata e quel senso di smarrimento ci ha messo qualche settimana ad andarsene».

Il primo biennio australiano di Flavia è costellato di momenti cruciali. «Ero affascinata da questo Paese e dalla sua cultura, a metà tra quella anglosassone e l’asiatica: volevo rimanere a tutti i costi e la maniera più facile era il visto da studente. Così, dopo sei mesi di lavoretti saltuari, decisi di iscrivermi a un corso. Fortuna volle che, un anno e mezzo dopo, l’istituto che frequentavo si fondesse con un’università conosciuta su scala mondiale, la Kaplan: ne conseguì che sarebbe bastato seguire un anno aggiuntivo di lezioni per conseguire la laurea. Con buona pace di mia mamma, che non vedeva di buon occhio il mio peregrinare, ritenendo si trattasse di un percorso senza capo né coda. Col senno di poi, ammetto che aveva ragione: viaggiavo per il gusto di viaggiare, di scoprire il mondo, senza quasi capirne il perché. Ad ogni modo, quando mi iscrissi all’università tirò un sospiro di sollievo e mi diede il suo benestare».

Flavia alterna lo studio al lavoro. «Ho fatto anche la commessa in una gioielleria molto in voga per l’acquisto di diamanti rosa, opali e perle australiane: era parecchio gettonata tra i molti turisti, specialmente europei. E la sera tornavo a casa: vivevo in una piccola Babele, con coinquilini di qualsiasi nazionalità. All’inizio cercavo di evitare gli italiani, ma dopo un po’ è diventato impossibile: in Australia, ormai, ce ne sono moltissimi».

Non bastano sedicimila chilometri per separare Flavia dagli italiani, né dai bergamaschi. Appesa la laurea al chiodo, viene assunta dalla Necta di Valbrembo – azienda leader nella produzione di distributori automatici di snack e bevande – per la neonata succursale di Sydney. Un’esperienza destinata a concludersi dieci mesi dopo, quando arriva la chiamata della Pirelli, che le offre un contratto a tempo indeterminato.

«Mi piace scherzare sul fatto che in Australia la gente non si ammazza di lavoro - anzi ha uno stile di vita piuttosto rilassato e guai a parlare di straordinari - ma in Pirelli rimaniamo fedeli al Dna lombardo: siamo stakanovisti. Ho la qualifica di responsabile “trade and consumer marketing”: di fatto mi occupo di tutto ciò che non è marketing operativo, dalle pubbliche relazioni al contatto con i giornalisti, il corporate brand, i social e il sito internet. Gestisco un team di tre persone e copriamo Australia, Nuova Zelanda e alcune isolette nei dintorni». A forza di stare a contatto con gli pneumatici, ha finito con l’appassionarsi di motori: «Ogni anno forniamo il Gran Premio d’Australia, che è la tradizionale gara di apertura del campionato mondiale di Formula Uno. Girando tra un circuito e l’altro mi sono innamorata delle moto: del resto qui le estensioni sono sconfinate; le zone abitate sono poche e tutto il resto è natura selvaggia, di una bellezza incantevole: l’ideale per macinare chilometri sulle due ruote».

Eppure c’è qualcosa che le manca: le montagne. «Le nostre montagne. Da bambina, con i miei, si andava sempre in gita in Val Brembana: quei posti restano nel mio cuore. Credo siano ciò che più mi manca di Bergamo insieme al Taleggio, cui ho sopperito con frequenti visite ai “Deli Shop”: lo vendono alla folle cifra di 40 euro al chilo, ma è uno sfizio che ogni tanto mi concedo».

Nessuna nostalgia, invece, del caffè. «Qui ne sono cultori: per non parlare del cappuccino, buono come quello italiano. Degli australiani ammiro il profondo senso civico e la continua ricerca dell’autenticità, persino quella dei sapori. Basti pensare che Starbucks prova a sfondare da almeno dieci anni, ma non riesce ad attecchire: la gente del posto vuole il caffè che sa di caffè, non i surrogati».

E, sebbene in Italia non ci torni quasi mai, racconta che da lì, dall’altra parte del mondo, ha goduto di un osservatorio privilegiato per vedere come è cambiato il nostro Paese. «Nel 2008 gli italiani di Sydney erano come me: avevano appena finito gli studi e si concedevano un anno sabbatico all’estero. Oggi, invece, mi imbatto in ragazzi laureati in università prestigiose o professionisti stimati, che vengono qui in cerca di fortuna, sapendo che troveranno migliori condizioni lavorative. Inseguono le occasioni che l’Italia non riesce più ad offrire. Spesso vengo contattata su Facebook da vecchi conoscenti che mi chiedono aiuto per ripartire da zero. E, ogni volta, trovo allarmante constatare che, ormai, la gente emigra dal Bel Paese perché si vede obbligata a farlo».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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