Lascia tutto e diventa
il re dei sub in Madagascar

Gianluca CensiDa agente di commercio di Mozzo a maestro di sub e ora titolare della «Aqua diving». Accompagna i turisti tra squali e tartarughe giganti.È passato alla storia come l’Eroe dei due Mondi - Europa e America - eppure per una goliardica combriccola di connazionali espatriati, il prode Giuseppe Garibaldi deve essersi concesso, a cavallo tra una battaglia e una liberazione, una vacanzina nel Continente Nero. Per l’esattezza nei pressi di Antananarivo, capitale del Madagascar. Altrimenti, racconta divertito il bergamasco Gianluca Censi - classe 1964, malgascio d’adozione da ormai 17 anni - come si può spiegare che Antananarivo, tradotto alla lettera, significhi «Città dei Mille» (da «tanana», città; e «rivo», mille)?

Se è vero che la vita è costellata di segnali che arrivano dall’alto e sta a noi decifrarli, quando Censi atterrò per la prima volta nella terra dei lemuri deve aver pensato che quel «fil rouge» semantico, capace di legare il vecchio e il nuovo domicilio, fosse qualcosa di più di una coincidenza. Il suo destino era fermarsi lì. Del resto, parlano i fatti: dopo aver aperto, nel 2000, il primo centro subacqueo italiano dell’isola, oggi ne gestisce un secondo con uno staff di 21 persone.

Vive a Nosy Be, un’isola dell’isola, a 8 chilometri a largo dalla costa nordoccidentale del Paese. Un’area di 300 chilometri quadri con 945 ettari di mangrovie e 60 mila anime, una temperatura media di 27 gradi e la possibilità di effettuare immersioni circondati da mante, squali balena e tartarughe giganti. Sì, perché Gianluca in Madagascar ci è finito per colpa di una passione trasformatasi presto in un’ossessione in grado di ridisegnare la geografia della sua esistenza: il sub. «A fine anni Novanta ero un agente di commercio nel ramo dell’arredamento, con una discreta carriera già tracciata. Fino a quel giorno: dovevo incontrare un cliente, ma ero in ritardo e non sarei mai arrivato a destinazione prima di pranzo. Lo avvisai e mi fermai in un centro commerciale in zona Lecco per un panino al volo. Fu allora che notai la pubblicità di un corso subacqueo: mi iscrissi e iniziai la sera stessa. Col senno di poi, capisco che quella locandina era la risposta a un bisogno ancora silente».

Ogni cosa, di colpo, cambiò: duecento immersioni in un anno e il diploma di istruttore. «Durante le ferie lavorai alla pari in un diving, perché volevo imparare tutto lo scibile: dalla manutenzione dei compressori alla gestione dell’attrezzatura sulle barche o l’utilizzo dell’ecoscandaglio. E, mentre prendevo confidenza con questo mondo, si insinuava una pazza idea: mollare tutto per inseguire gli abissi». Ed ecco un nuovo segnale. «Alcuni amici, appena rientrati da una vacanza a Nosy Be, mi parlarono di altri italiani già in loco, desiderosi di vendere la loro attività per rientrare».Pronti, via: Gianluca acquista un biglietto di sola andata e rileva il centro per poi creare, in tempi più recenti, la sua «Aqua diving», in collaborazione con hotel e tour operator che operano dal Bel Paese. «Ma non mi piace che mi definiscano coraggioso: spesso non è la mancanza di fegato a far rimanere i sogni intrappolati nel cassetto, bensì il fatto che l’occasione giusta non coincida con il momento ideale. Ho rischiato e mi è andata bene, ma tanto di cappello a quanti restano in Europa senza scappare dalla crisi», puntualizza.

Il suo progetto più ambizioso, spiega, non è stato il salto nel vuoto lungo 9.000 chilometri, bensì costruire una famiglia. «Jessica, mia moglie, è malgascia di origini cinesi e tedesche: oggi ha anche la nazionalità italiana e io ci scherzo su, dicendole che è il mio “fritto misto”. Poi c’è il dono più grande che la vita mi abbia fatto: Guillaume, nostro figlio di 13 anni. Non c’è giorno che passi senza che cerchi di meritarmi il loro amore, sebbene ci separino 245 chilometri. Vivono ad Antsiranana, a sei ore da Nosy Be, perché è il luogo più vicino dotato di un liceo francese equiparato, la cui frequenza potrà permettergli di accedere a un’università del Vecchio Continente. Chi viene qui in vacanza mi dice che mi invidia, perché è un Paradiso: ribatto che non è tutto oro ciò che luccica. Ogni scelta comporta dei compromessi: ad esempio, fino a poco tempo fa bisognava toccar ferro e sperare di star bene, perché gli ospedali erano raggiungibili soltanto in elicottero; ora stanno nascendo alcune strutture private meno distanti».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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