«Lavoro e maternità
più tutelati qui a Londra»

Manuela Ravasio, da Carvico alla capitale inglese dopo un passaggio a Barcellona e il giro del mondo. «Paura per gli attentati? Qui una reazione British». Ha 41 anni, originaria di Carvico e residente a Londra dal 2007, è Project Manager della Colt Technology Service, un’azienda di telecomunicazioni con sedi in 33 città d’Europa, in Giappone e a Singapore.

«Seguo il dipartimento dei data centre in cui sono tutti ingegneri. Ho imparato da zero e il fatto che non avessi una laurea non è mai stato un limite, nella mia azienda ho fatto carriera perché mi hanno dato la possibilità di mettermi in gioco. Prima della Colt ero impiegata in una piccola azienda del paese con un contratto di collaborazione, poi è arrivato il colloquio a Milano e la proposta di assistente del direttore. Paradossalmente, quando ho detto ai miei ex titolari che me ne andavo, mi hanno offerto di rimanere con le stesse condizioni che mi dava la Colt. Sarebbe certo stato più comodo, ero a due passi da casa, ma vedevo colleghi che erano lì da 20 anni senza aver mai avuto la possibilità di fare un passo avanti e ho rifiutato».

Nei sei anni trascorsi nella sede milanese, Manuela termina tutti gli esami dal corso di laurea in Scienze umanistiche per la comunicazione, senza però discutere la tesi, perché accetta la proposta di trasferimento a Barcellona come formatrice del nuovo team del call center. «Barcellona è per me una città bellissima, ma l’impressione era che le cose funzionassero un po’ come in Italia, le stesse dinamiche e un atteggiamento di chiusura nei confronti degli stranieri. Dal punto di vista professionale e umano è stata un’esperienza gratificante, ma non volevo vivere lì a lungo. Nel 2007 ho fatto domanda di trasferimento e ho scelto Londra, prima nel ruolo di coordinatrice e poi di responsabile di progetto. In Gran Bretagna e, in modo particolare, a Londra la mentalità è decisamente aperta. Ho amiche a Bergamo che hanno difficoltà a dire ai loro superiori che aspettano un bambino perché temono di essere trattate male. Io attualmente sono in maternità e quando ho comunicato alla mia azienda che ero incinta, prima di tutto mi hanno elencato con precisione tutti i miei diritti, anticipandomi già le possibilità di scelta, come il part-time orizzontale, verticale, orizzontale, tempo pieno con elasticità di orario, che avrò al mio ritorno. Non credo che in Italia avrei avuto lo stesso tipo di trattamento».

«A Londra è proprio tutto un altro sistema – continua Manuela –. Non ci si aspetta che l’ultimo arrivato debba naturalmente sgobbare più del dovuto e magari gratis. Se il tuo responsabile ti vede in ufficio oltre l’orario di lavoro è obbligato a invitarti ad uscire. Il livello di stress è alto, quindi quello che si cerca è il “good balance”, il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Va detto che è anche molto più facile essere licenziati, ma anche se perdi il lavoro a 50 anni puoi ripartire, non sei certo considerato finito, semplicemente perché cambi».

Nel 2015 Manuela decide di prendersi sei mesi sabbatici e di partire, da sola, per fare il giro del mondo. «Stavamo cercando di avere un bambino – racconta Manuela –, ma la gravidanza non arrivava e il mio compagno mi ha spinta a partire, sapeva che era un’esperienza che volevo fare e in effetti ci ha fatto bene. Sono stata prima in India e poi in Nepal, dove ho vissuto l’incubo del terremoto. Fortunatamente sono riuscita a lasciare in fretta il Paese e nonostante la paura e lo scenario apocalittico che mi lasciavo alle spalle ho deciso di continuare il viaggio che mi ha portato in Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam, Nuova Zelanda, Canada e Stati Uniti. Le ultime due settimane le ho trascorse con i miei genitori che mi hanno raggiunta a New York. Rientrata in azienda, dopo pochi mesi sono rimasta incinta del nostro bimbo che è nato ad aprile. Mi sto godendo la maternità, anche se dopo i 35 anni qui ti definiscono una “madre geriatrica”».

Il compagno di Manuela è scozzese mentre lei, dopo la Brexit, ha fatto richiesta del permesso di residenza permanente, il primo step per poi chiedere la doppia cittadinanza. «Mi rendo conto che per molti questa è diventata una città pericolosa perché nel mirino di attentatori folli, a volte ci penso, ma c’è poco da fare l’alternativa sarebbe smettere di vivere e non saprei nemmeno come. Londra sta reagendo con il tipico spirito “British” che ti aspetti, la parola d’ordine in queste situazioni è “rialzati e vai avanti”. L’atteggiamento della popolazione è quello di un fronte unito contro qualsiasi atto terroristico, senza però cadere nell’islamofobia».

Al contrario, stando alle dichiarazioni di Manuela, lo sforzo è diretto all’unione e al dialogo tra le comunità per reagire alla paura. «Devo dire che io così felice in Italia non lo sono stata mai - ammette Manuela –, è una questione di personalità; ho bisogno di cambiare ambiente per modificare abitudini e aspetti di me che non mi piacciono. Difficilmente insomma riesco a fare dei cambiamenti se quello che ho intorno resta invariato. Quando arrivi in un posto nuovo, dove nessuno ti conosce hai la possibilità di decidere meglio chi sei e chi vuoi essere, di reinventarti. Conosco persone perfettamente felici di aver messo su famiglia e di lavorare in un raggio di due chilometri dalla casa in cui sono nate. Le invidio moltissimo, sul serio, ma non è per me. Se tornassi indietro probabilmente partirei prima e il mio consiglio, soprattutto per i più giovani è di vivere un’esperienza di qualsiasi tipo all’estero, scegliere un paese e starci per un po’. Anche solo per dire a te stesso: ecco, esiste un’alternativa».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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