Nella megalopoli tra le nuvole
progetta grattacieli per il governo cinese

Shenzhen è stata ribattezzata la città tra le nuvole. Trent’anni fa era un piccolo villaggio di pescatori sul delta del fiume delle Perle.

Poi nel 1978 Deng Xiaoping, braccio destro di Mao Tse Tung e fautore del «socialismo con caratteristiche cinesi» – vista la vicinanza con Hong Kong – decise di trasformarla in un nuovo polo economico per la Cina. Oggi è la capitale della provincia del Guandong, quella in cui si concentra un quarto della produzione mondiale.

E s’impone sul mondo sfidando il cielo con prodigiosi grattacieli per gli affari. L’ultimo si chiama «Clouds Citizen», un polo finanziario fatto di grattacieli alti fino a 700 metri collegati da passerelle sospese nel vuoto.

È qui che è stato chiamato a progettare «ultra hight rise buildings» (grattacieli dai 200 metri in su) il quarantaduenne bergamasco Stefano Baretti per una compagnia governativa cinese, la «A+e design».

Come si arriva a lavorare alle dipendenze del Dragone cinese?

«Ero alla ricerca di un’esperienza professionale di ampio respiro e avevo risposto all’inserzione di uno studio americano molto famoso, S.O.M., che lavora in tutto il mondo. Qui il mio profilo è stato notato da quello che potremmo definire un “cacciatore di teste” che mi ha chiesto se fossi interessato a una posizione “senior” ad Hong Kong».

Che cosa ha colpito del suo curriculum?

«Io sono partito da un diploma all’Itis Quarenghi di Bergamo. Poi il Politecnico a Milano e la laurea in Architettura prima e in Ingegneria edile poi all’Università degli studi di Pavia. Penso però che sia stato qualificante per me lavorare con Vittorio Gregotti, conosciuto anche a Bergamo per il progetto della Gamec e dell’Accademia Carrara, ma anche per aver realizzato l’area Pirelli-Bicocca a Milano».

Che cosa s’impara nello studio di un grande urbanista come Gregotti?

«Credo che, oltre ad apprendere molto da un grande maestro, sia importante il lavoro in équipe con altri professionisti da tutto il mondo. È lì che mi sono confrontato con i primi progetti rivolti alla Cina, come il progetto del Bund di Shanghai e la progettazione della new town di Jiangwan ma soprattutto quella di Punjan sempre a Shanghai, per cui abbiamo vinto un concorso internazionale».

Come è avvenuta la selezione per «A+e design»?

«Ho sostenuto una serie di colloqui in inglese via Skype. Superata la prima selezione arriva la richiesta di presentare una prova progettuale da realizzare in sette giorni per un polo fieristico. Una gara contro il tempo sostenuta anche dalle professionalità dei colleghi del mio “studio Nomos”: e così a giugno io e mia moglie Elena siamo sbarcati a Shenzhen».

La particolarità della sua esperienza è che forse sei tra i primi europei a essere assunto da una compagnia governativa cinese…

«Sì, questa è una novità. Fino a oggi la mia compagnia e quelle cinesi in generale si appoggiavano a studi internazionali per i grandi progetti di architettura e urbanistica. Ora invece si stanno concentrando sull’importare i cervelli europei e internazionali e farli lavorare direttamente al loro interno».

E lei di che cosa si occupa?

«Io sono stato richiesto come “chief concept designer” che, in altre parole, significa che realizzo il sogno di ogni architetto: mi concentro solo sull’ideazione e i progetti che poi altri realizzeranno. Lavoro con uno staff di quattro designer cinesi che presto diventeranno otto e sono l’unico straniero in una società di 500 cinesi. I miei collaboratori sono giovani e curiosi, lavorano con il sorriso e hanno la leggerezza di chi vive in un Paese in continua fase di crescita…e io li costringo a passare almeno un’ora al giorno nella biblioteca della compagnia a sfogliare libri e riviste di architettura per allenare la loro creatività».

Su cosa ha lavorato in questo anno?

«Mi hanno chiesto fin da subito di lavorare su un Centro direzionale di circa 900 mila metri cubi, il Seg Plaza in Xi’an composto da quattro edifici, con una torre principale da 200 metri e altre tre da 100. Un cantiere che darà lavoro a migliaia di persone e pronto ad accoglierne più di 25 mila. Quello che mi ha meravigliato di più sono i tempi: un mese per il progetto e poi subito il via all’esecutivo. Qui lungaggini burocratiche e problemi di budget non esistono! C’è un turbo-sviluppo incredibile, con tutte le contraddizioni che porta. Nulla sembra impossibile: se è necessario spostare il corso di un fiume lo fanno senza problemi».

Per i primi mesi l’ha seguito anche sua moglie, però poi è dovuta rientrare…

«Elena (Leggeri, nella giunta dei Giovani costruttori Ance Bergamo ndr) è anche lei architetto. Entrambi ci siamo fatti incuriosire da questa esperienza, certo non facile. I primi tempi giravo con i bigliettini delle vie che dovevo raggiungere scritti da qualche amico cinese… Anche lei ha subito stretto delle relazioni professionali collaborando per uno studio d’interior design. Il sogno di entrambi è cercare di essere un ponte con la Cina per investire capitali qui sul nostro territorio italiano e bergamasco, così bisognoso di interventi strategici e lungimiranti a supporto dell’imprenditoria e della manifattura apprezzata in tutto il mondo, nonché capace di proporre nuovi modelli insediativi sostenibili nel pieno rispetto di un paesaggio unico e turisticamente attrattivo purtroppo oggi sottostimato. Anche su questo lavoreremo nei prossimi mesi. Mentre sul tavolo sono già in elaborazione un nuovo polo fieristico oltre a una nuova torre a Zhuji… di 150 metri naturalmente».

BERGAMO SENZA CONFINI, IL PROGETTO
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