Qui Michigan
l’America country

C’è un’America un po’ diversa da quella patinata che fa da sfondo a film e serie televisive. Niente glamour, tacchi a spillo, limousine e party in piscina. Al massimo qualche barbecue, due tiri a golf e una birra.

Questa è l’America in cui Andrea Scrofani, 40enne di Dalmine, vive da un anno: è project manager della fonderia Brembo di Homer, un migliaio di anime, ma risiede a Jackson, 25 mila abitanti, entrambe in Michigan: «Può suonare eccessivo, ma questa seconda faccia degli Stati Uniti - la “country”- per noi italiani è ben diversa da quella che siamo abituati a vedere. Nulla a che vedere con l’appeal di Chicago, New York, Los Angeles o Atlanta. Si tratta di paesini ricchi, certo: tutti hanno il macchinone, una bella casa e la soglia di disoccupazione è al di sotto del 2%. Eppure il loro approccio non è subito amichevole: sono chiusi nei confronti del nuovo, i loro argomenti di conversazione sono soprattutto legati allo sport, baseball e Nascar (corse automobilistiche). Di politica non si parla, non sono apprezzate le considerazioni sull’aspetto fisico, o chiedere qualcosa di personale: è come se volessi intrometterti nella loro vita».

Scrofani è entrato in Brembo nel 2001, a 25 anni, neolaureato in Ingegneria meccanica a Dalmine, dove ha frequentato asilo, elementari, medie, superiori e università («Per un periodo ho addirittura abitato di fronte all’ateneo», puntualizza ridendo). Il legame viscerale con la sua terra è forte come quello che fin da subito lo lega alla multinazionale. «Il professor Bugini, docente di Tecnologie meccaniche, ci portò a visitare le più importanti realtà imprenditoriali bergamasche: nessuna mi colpì come la Brembo, che divenne il mio pallino. Quando mi chiamarono per sostenere il colloquio, mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Chiesi di non essere blindato dietro a una scrivania e mi presero in parola: qualche settimana dopo iniziai la mia gavetta nella fonderia di Mapello. Mi sarei occupato di manutenzione, ma prima di entrare nel vivo delle mansioni era necessario un periodo gomito a gomito con gli operai, per conoscere nel dettaglio i processi produttivi».

Nelle fonderie ha trascorso gli ultimi 15 anni della sua vita: dopo Mapello c’è stata Dabrowa Gornicza, in Polonia (dove ha conosciuto anche la fidanzata, Anna). Infine il trasferimento Oltreoceano. «Nel 2013 abbiamo iniziato a scandagliare il Sud est degli Stati Uniti per capire quale fosse il luogo più idoneo per questa nuova base: Alabama, Mississipi, Nord e Sud Carolina. Alla fine si è optato per il Michigan poiché già esisteva un nostro stabilimento nelle vicinanze, a Homer: abbiamo ritenuto opportuno verticalizzare».

Ma com’è lavorare con gli americani? «Sebbene siano la prima potenza mondiale, per loro il lavoro non è una priorità, bensì un mezzo per percepire uno stipendio: al primo posto mettono la famiglia. Entrano in ufficio alle 7 ed escono alle 15 e guai a telefonargli dopo quell’ora. Sono molto legati alla loro terra e difficilmente, almeno da queste parti, sono abituati a viaggiare. Dei 75 dipendenti che abbiamo al momento – quando saremo a regime, tra un anno, saranno 250 – pochissimi hanno il passaporto: lo so perché è stato necessario mandarne qualcuno in Polonia a fare la formazione. Una volta assunti, si sono visti obbligati a fare il primo passaporto della loro vita. Sembrerà strano, ma i polacchi sono molto più simili a noi rispetto agli americani».

Nonostante l’iniziale diffidenza, per gli abitanti della zona è motivo di vanto lavorare per Brembo, la cui fama è quasi superiore a quella di cui gode in Italia. «Abbiamo puntato molto sul marketing, cercando di essere presenti nei punti nevralgici di interesse per gli americani. Ad esempio, compaiono nostre pubblicità durante le gare di Nascar, che si disputano ogni due settimane e sono un evento attesissimo, a differenza della Formula Uno, che non viene per niente seguita. Inoltre abbiamo promosso una partnership con alcuni videogiochi di competizioni automobilistiche: al cambio dei pneumatici si mette a fuoco immediatamente sull’impianto frenante e sul logo, che è Brembo».

In questo primo anno a stelle e strisce il tempo per girare e scoprire le zone limitrofe è stato poco, considerata la mole di lavoro e le distanze impegnative. «La zona dei laghi è a un’ora e mezza, ma non offre un granché a livello turistico. Chicago, invece, è a tre ore e mezza e le cascate del Niagara a cinque». Inoltre, considerato che non aveva socializzato molto con gli indigeni, Andrea non aveva ancora trovato un compagno di viaggio. «Ma, finalmente Brembo ha trasferito qui la mia fidanzata: abbiamo chiesto che negli anni a venire ci spostino sempre insieme. Il mio incarico dovrebbe concludersi nel 2017: ora stiamo ultimando la fase di collaudo. Poi ho già individuato un nuovo progetto. Archiviato quello, mi piacerebbe smettere con questa esistenza da zingaro e tornare a casa: mi manca sciare sulle Dolomiti, andare al mare in Sardegna e vivere a Dalmine. Per non parlare del cibo: qui, a parte il barbecue, non c’è nulla che sia appetibile per un italiano. Storco un po’ il naso ogni volta che vado al supermercato e butto un occhio ai carrelli delle casalinghe: colmi di scatolame».

Perché, conclude: «vivere all’estero è un sacrificio. Mi ripaga essere riuscito a costruire qualcosa con le mie idee e i miei sforzi. Dico sempre che ho due figlie: la fonderia polacca e quella americana. Con buona pace dei miei genitori. Loro, siciliani che vivono a Dalmine da oltre 40 anni, sono felici per me, ma mia mamma ogni tanto me la butta lì: “Se avessi saputo che saresti finito così lontano, altro che ingegneria: ti avrei mandato a fare l’idraulico!”».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con Brembo S.p.A. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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