Un anno negli Usa per studiare
Ecco come la vita è cambiata

«Un giorno mia madre, dopo aver parlato con alcuni docenti e genitori, mi butta lì: “Riccardo, non è che ti andrebbe di frequentare il quarto anno di scuola superiore all’estero?” Ci ho pensato un attimo e le ho risposto: “Perché no?”».

Basta fare quattro chiacchiere con Riccardo Clemente, 19enne di Bergamo, per intuire che lui è proprio così: aperto alle opportunità che la vita gli mette davanti, capace di accoglierle con entusiasmo e con un pizzico di senso dell’avventura nel sangue che non guasta mai. È per queste sue doti che, a 17 anni, si è trovato catapultato dal Collegio vescovile Sant’Alessandro in città (a due passi da casa) alla Lowell catholic high school di Lowell, una cittadina vicino Boston, nel Massachusetts, Stati Uniti d’America. Un «perché no?» che in effetti, a due anni di distanza, lo ha portato a conquistare – con una buona dose di impegno e sacrificio – il diploma americano, la licenza liceale in Italia, e l’ammissione al primo anno di università presso la Western New England University di Springfield sempre nel Massachusetts.

«Il Collegio Sant’Alex offre l’opportunità ai suoi studenti di frequentare un anno scolastico all’estero senza perdere l’anno in Italia – spiega Riccardo, ripercorrendo le tappe dell’esperienza americana –. Ci siamo poi affidati al Wep, World exchange program, per trovare una famiglia pronta ad accogliermi durante gli studi in America. Il progetto naturalmente vuole incoraggiare alla pratica dell’inglese ma secondo me è importante soprattutto perché ti apre la mente e ti fa confrontare con un mondo molto diverso da quello in cui si è cresciuti. Questo ti obbliga a mettere in discussione molte cose e a farti delle domande, a non dare tutto per scontato».

A Lowell, una cittadina con circa 100 mila abitanti, poco meno di Bergamo, nello stato del Massachusetts, nel Nord-Est degli Stati Uniti, Riccardo incontra quella che diventerà a tutti gli effetti la sua seconda famiglia: i Benoit. «Mi sono sentito subito a casa: per la famiglia Benoit è stata la prima esperienza di accoglienza di uno studente straniero e hanno fatto di tutto per farmi sentire a mio agio. Anche loro hanno una famiglia come la mia, papà e mamma, due fratelli più o meno della mia età e la nonna. È stato facile ambientarsi anche se Lowell, pur avendo più o meno gli stessi abitanti di Bergamo, è molto diversa dalla nostra città. La cosa che mi ha colpito di più all’inizio è il senso dello spazio e delle distanze: lì tutto è gigantesco, le distanze si coprono sempre in auto, e le auto sono enormi in confronto alle nostre. Tutto è in formato maxi. L’altra cosa che mi ha colpito molto è la neve. Parecchia neve. La mia stanza era al secondo piano di una casa singola e io avevo la neve fuori dalla finestra. Metri e metri di neve: ogni famiglia istituisce i turni ogni 45 minuti per spalarla lungo il vialetto e le vie di accesso… e naturalmente la temperatura invernale può toccare i -20 gradi».

Per Riccardo la lingua si rivela l’ultimo dei problemi: «A scuola avevo avuto una buona preparazione e a Lowell si parla un inglese piuttosto classico per cui non ho avuto difficoltà a farmi capire anche se con il tempo ho acquisito sempre più scioltezza – ricorda –. È stato più che altro un cambio di stile di vita, un anno di trasformazione, soprattutto a scuola. Il percorso di studi superiori è molto diverso dall’Italia: ci sono delle materie obbligatorie per tutti, ma anche una serie di materie opzionali che ti permettono di esplorare quali sono i tuoi punti di interesse e di forza. Il percorso di studi diventa così molto personalizzato. Ci sono continue prove semestrali al posto dell’esame di maturità finale: in base al punteggio che ottieni nelle varie prove si compone il voto conclusivo. Lo sport ha un grandissimo valore nel percorso di studi e viene dato ampio spazio nel pomeriggio alle attività motorie: è così che oltre al calcio (in cui primeggiavo da buon italiano), al calcetto e alla pallavolo, ho scoperto anche lo sport nazionale di queste parti, il lacrosse, una specie di calcio con le racchette, tipico del Nord America».

Per Riccardo la vita americana è così ricca di nuove esperienze che la nostalgia di casa si fa sentire poco. «Intorno a Natale – ricorda infatti – ho iniziato a pensare di fermarmi negli Stati Uniti anche per frequentare l’università. È così che ho fatto domanda in alcuni atenei. Anche su questo fronte la selezione accademica negli Usa è molto differente da qui: sono le università che, in base al tuo curriculum e alle tue doti, anche sportive, fanno a gara per avere la tua iscrizione presso il loro ateneo. Più un ateneo è in grado di attirare giovani promettenti più in futuro sarà riconosciuto per avere formato la classe dirigente. Io sono stato selezionato in due università con borsa di studio: è così che mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria meccanica alla Western New England University di Springfield».

«Nella mia università ci sono studenti da tutto il mondo, ma non dall’Italia. In particolare ci sono giovani dagli Emirati Arabi, dalla Cina e dal Giappone, da altri Paesi europei. La vita universitaria, come già il college, favorisce dei percorsi individualizzati e non esiste il concetto di classe. Nel corso delle varie lezioni si conoscono nuovi studenti, che diventano nuovi amici e un punto di riferimento per il futuro» spiega Riccardo, che non sembra affatto intenzionato a fare dietrofront. «Vorrei concludere qui l’università e poi mi piacerebbe poter lavorare in Italia per qualche azienda americana, oppure fermarmi negli Usa» ammette.

Per non chiudersi nessuna opportunità però in questi due anni ha fatto parecchi sacrifici e, oltre a proseguire con successo gli studi negli Usa, ha portato a termine il quarto anno in Italia e addirittura la maturità scientifica, recuperando durante le vacanze americane, il percorso di studi perso in Italia. La conquista più importante per Riccardo è stata poi l’autonomia. «Da quest’anno ho dato la disponibilità a lavorare come guida per le matricole in ateneo – racconta –: lavorare è ritenuto un valore aggiunto per gli studenti universitari. Ora vivo nello studentato con giovani da tutto il mondo: anche se non posso ancora essere autonomo economicamente, credo di aver imparato a cavarmela da solo, nella vita quotidiana e nell’affrontare le piccole o grandi difficoltà. Un altro motivo per cui consiglio ai ragazzi della mia età di spiccare il volo».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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