Eccezioni magiche

In queste ore, sentiamo di avere qualche cosa in comune con il regista Stephen Frears, i musicisti Jon Lord, John Illsley e John Deacon, lo scrittore-complottista David Icke e anche con Graham Chapman, attore e umorista ammirevole, membro dei Monty Phyton e dunque in qualche modo immortale anche se, dal 1989, il suo stato anagrafico riporta: «Deceduto».

La cosa in comune è che, come loro, ci sentiamo cittadini di Leicester il cui nome, più o meno storpiandolo, abbiamo tutti pronunciato in relazione alla sorprendente vittoria della sua squadra di calcio nel campionato inglese.

Ci piace immaginarci abitanti di Leicester perché così avremmo diritto a una riga, anche nascosta, in una fiaba destinata a essere raccontata per molti anni a venire: la fiaba della squadra «povera», guidata da un gentiluomo italiano, trionfante a dispetto del fatto che all’inizio nessuno, ma proprio nessuno, le concedeva una possibilità.

Non ci sentiamo anche noi così, qualche volta? Alzi la mano chi non ha mai pensato che il suo potenziale è sottostimato, che la vita si ostina a negargli una possibilità, che i ricchi, i potenti e gli arroganti finiscono sempre per avere la meglio e la alzi ancora più in alto se non ha mai sperato che, grazie a qualche accadimento imprevedibile - ma soprattutto in virtù di uno stato di grazia giustamente guadagnato - il mondo potesse ribaltarsi e noi umili, noi sottovalutati, noi timidi, noi gentili per una volta riuscissimo finalmente a trionfare.

Favole come quella del Leicester ci fanno bene, lo sentiamo nelle ossa, e speriamo che si possano ripetere spesso, tutti i giorni. Senza pensare che la magia dell’eccezione sta proprio nella sua unicità, che la meraviglia dell’imprevisto brilla solo sotto la cenere dello scontato. Non possiamo sperare in un Leicester al giorno: la magia sparirebbe. Però possiamo opporci alla rassegnazione: se ha perso contro il Leicester potrebbe perdere anche contro di noi.

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