Delitto di Vertova, il Gip non convalida ma il senegalese resta in carcere

Per ricostruire la vicenda...

AIì Ndiogou resta in carcere anche se il Gip non ha convalidato il fermo. Il magistrato ha infatti deciso di non convalidare il fermo perché non sussisterebbe il pericolo di fuga, ma ha comunque stabilito che il senegalese debba restare in carcere perché invece sussisterebbe il pericolo della reiterazione del reato. La decisione è stata presa poco prima delle 14.30, dopo che il Gip si era preso una pausa di riflessione al termine di un lungo e serrato interrogatorio. Molti gli indizi a suo carico. Intanto l’avvocato difensore, presente all’interrogatorio, precisa che il quadro indiziario non sarebbe così grave come poteva sembrare all’inizio e che verrà richiesto di rifare le analisi dei Ris.Per l’avvocato, Giovanni Fedeli, il senegalese Alì Ndiogou ha risposto alle domande del giudice confermando di non essere mai stato sul luogo del delitto e rilanciando il proprio alibi, con l’indicazione dei testimoni da verificare. L’avvocato ha annunciato di voler chiedere nuove analisi sulle tracce ematiche e di sudore riscontrate dai Ris di Parma e ha spiegato che anche la causa di lavoro in corso, da parte dell’indiziato, dovrebbe escludere un suo coinvolgimento nell’omicidio.Ma gli indizi a suo carico sembrano essere molti. Secondo gli esami di laboratorio sarebbe sue le quattro gocce di sangue trovate fuori dalla finestra dell’ufficio dov’è stato consumato il delitto, sangue che, secondo gli inquirenti, potrebbe essere uscito da una ferita che Ali Ndiogou ha su un gomito. Sue sarebbero anche le tracce di sudore o di saliva trovate insieme a quelle del sangue della vittima su un pezzetto di un fazzoletto di carta trovato vicino al cadavere di Maria Grazia Pezzoli. Sue, secondo gli inquirenti, anche le impronte digitali (in particolare quelle del pollice della mano sinistra) trovate sul portafotografie contenenti le foto tessera del marito della vittima, Giuseppe Bernini, ritrovato abbandonate ad Albino due giorni dopo il delitto. Del furto delle fototessera, il senegalese si è detto a conoscenza perché ne aveva sentito parlare il giorno del furto quando ancora lavorava nel magazzino del Bernini, ma di non esserne stato lui l’autore.A una ventina di metri di distanza dal ritrovamento del portafotografie, i carabinieri avevano ritrovato anche un lembo di un paio di pantaloni sul quale i Ris avrebbero ritrovato tracce di sudore del senegalese e del sangue della Pezzoli.Intanto Alì Ndiogou continua a dichiararsi estraneo al delitto, sostenendo con forza di non essere stato né nella casa della vittima né tanto meno ad Albino il 24 luglio scorso. Sostiene invece di essere stato in un’agenzia di lavoro interinale della valle alle 14,30 e di avere dei testimoni, ma l’accusa sostiene che il decesso di Maria Grazie Pezzoli è stato fatto risalire dal medico legale tra le 13.30 e le 14.30 e dunque il presunto colpevole avrebbe avuto tutto il tempo per spostarsi. Inoltre Ndiogou sosterebbe di aver utilizzato l’auto di un amico che tuttavia non confermerebbe questo particolare. Secondo gli inquirenti, infine, il giorno del delitto la cellula del telefono cellulare dell’indiziato risulterebbe agganciata proprio alla cella di Albino.Ascolta l’avvocato di Ndiogou (Bergamo Tv)TUTTI I PARTICOLARI SU L’ECO DEL 2 SETTEMBRE(01/09/2008)

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