Zingonia, accusato di omicidio
Assolto per non aver commesso il fatto

Lo avevano arrestato per un presunto omicidio commesso quasi 19 anni fa, sulla base delle dichiarazioni di un pentito, e dal gennaio 2008 è rimasto in carcere con questa pesante accusa. Mercoledì sera Giuseppe Cacopardo, detto Pino, 42 anni, calabrese da anni ormai residente a Zingonia di Verdellino in via delle Mimose, è stato assolto dalle accuse per non aver commesso il fatto. La sentenza, presente il difensore avvocato Giovanni Fedeli, è stata pronunciata dalla Corte d'Assise della prima sezione di Milano, presieduta dal giudice Filippo Grisolia, a latere Mariolina Panasiti: la pubblica accusa aveva chiesto la condanna all'ergastolo.


«L'istruttoria ha evidenziato la mancanza di riscontri alle accuse mosse. Anche la requisitoria dell'accusa è stata interamente basata sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Roberto Spanò (ora deceduto) - ha spiegato l'avvocato Fedeli, soddisfatto per l'esito del processo - Non dico che ci aspettavamo l'assoluzione, ma già la Cassazione, quando ci siamo occupati della misura cautelare, aveva lasciato intendere qualcosa a favore della difesa. Appena avremo le motivazioni, tra 60 giorni, chiederemo anche il risarcimento per l'ingiusta detenzione del mio assistito».

Giuseppe Cacopardo, infatti, arrestato a fine gennaio 2008, solo con la sentenza di ieri ha riacquistato la libertà, dopo più di ventidue mesi di detenzione.

L'omicidio che gli veniva contestato risale al 15 febbraio del 1991, a Mediglia, nel milanese: quel giorno Rosario Villererio, ventunenne del posto, era morto in seguito all?iniezione di una dose letale di eroina. Il giovane, secondo il castello accusatorio, per anni si sarebbe rifornito di droga da Giuseppe Cacopardo, che si diceva legato al clan della 'ndrangheta facente capo ai Piromalli, e l'omicidio sarebbe avvenuto per mettere a tacere Villererio: il timore sarebbe stato che il giovane, sulla strada della disintossicazione, diventasse un collaboratore delle forze dell?ordine.

La vicenda inizialmente era stata liquidata come una morte da overdose, ma il colpo di scena era arrivato solo parecchi anni più tardi, e proprio per bocca del collaboratore di giustizia Roberto Spanò, sentito dai magistrati nel 2000 in relazione a diversi omicidi. Sarebbe stato lui a fare il nome di Pino Cacopardo e del fratello Gaetano, 38 anni. In particolare ai magistrati di Reggio Calabria aveva detto: «I fratelli Cacopardo appresero che il giovane era sul punto di riferire degli acquisti di droga fatti da noi, perciò decisero di sopprimerlo».

Aveva anche ricostruito la scena del delitto, chiarendo di essere stato presente nella abitazione della vittima: «Ho estratto la pistola e ho costretto Rosario (Villererio, ndr), ad andare dalla cucina alla camera da letto. Dopo averlo fatto stendere sul letto, il Cacopardo (Giuseppe, ndr) tirò fuori una siringa cha aveva con sé e la iniettò mi pare nel braccio destro di Rosario, il quale dopo pochi minuti è deceduto». Spanò aveva riferito di essere stato a sua volta minacciato da Pino Cacopardo, insieme alla fidanzata di Villererio. Scattati gli accertamenti e ottenuti dei riscontri positivi, i magistrati avevano chiesto e ottenuto due ordini di custodia cautelare, a distanza di 17 anni dai fatti: uno per Giuseppe Cacopardo, per omicidio aggravato dalla premeditazione e dall'uso di sostanza venefica e per spaccio, e uno per il fratello Gaetano, solo per quest'ultimo reato. Già in sede di Riesame la contestazione legata allo spaccio era però caduto, facendo uscire dalla scena processuale Gaetano. Era invece proseguito il processo per Giuseppe, con il rinvio a giudizio prima e il processo in Corte d'assise poi: la parola fine, sconfessando le accuse del pentito e restituendo la libertà all'imputato, l'hanno messa i giudici di Milano.

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