Massacrò la fidanzata, dopo 8 anni
esce dal carcere con i permessi

Lugi Marchetti, il barista di Pianico di 39 anni che nel 2002 uccise la fidanzata Moira Squaratti, di Paspardo, in Vallecamonica (Brescia), usufruisce di permessi per uscire dal carcere in cui sta scontando la pena di 14 anni alla quale era stato condannato per il delitto.

L'omicidio avvenne nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile nell'abitazione di Paspardo (Brescia) in cui i due giovani convivevano. Marchetti fu arrestato qualche ora dopo il delitto. In questo periodo di detenzione, a quanto è dato sapere, in carcere si è comportato bene. Ora, quindi, come prevede la legge, può usufruire dei permessi, per andare a lavorare come falegname.

Moira, che aveva 26 anni, venne accoltellata e strangolata nella notte tra il 31 marzo e il 1 aprile, tra Pasqua e Pasquetta. Per il giudice si trattò di omicidio volontario non aggravato dai futili motivi. A Marchetti sono state concesse le attenuanti generiche: così dai 24 anni previsti dal codice penale la pena è scesa a 21 anni e grazie alla scelta del rito abbreviato è calata ulteriormente a 14.

Il delitto fu scoperto il giorno successivo dal padre di lei: la giovane era stata picchiata, accoltellata e strozzata. Del fidanzato nessuna traccia. Una fuga protrattasi per un mese, prima in Sardegna e poi in Francia. Poi Marchetti cominciò a valutare l'idea del rientro in Italia: contattò anche un sacerdote, che lo convinse a costituirsi. Chiamò allora l'avvocato Giuseppe Frigo, tornò a Brescia e fu arrestato.

Marchetti raccontò di non essersi reso conto di aver ucciso la fidanzata e di essere fuggito in preda allo choc. Spiegò di aver agito come se si fosse trovato «in un sogno», senza mai fornire un movente.

Quando Marchetti era in fuga, il padre di Moira, Giustino Squaratti, non esitò a perdonarlo. Un perdono “umano, cristiano” insieme alla richiesta di consegnarsi alle forze dell'ordine e spiegare cos'era successo. Marchetti s'assunse la responsabilità del delitto ma finora non si è mai rivolto ai familiari della ragazza.

La famiglia di Moira, che seguì tutte le fasi del processo con l'avvocato Ivan Facchini, non si mai è costituita parte civile e nessun ricorso è quindi stato possibile.

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