«Piangevo in garage senza lavoro
Ora ho ritrovato la mia dignità»

Un pennello da barba per tornare a radersi senza sentire la pelle dura del viso sotto le lame del rasoio. Uno «sfizio» da 4 euro al supermercato che Ernesto è riuscito a concedersi con il primo stipendio come portinaio al Policlinico a Ponte, dopo quasi due anni senza lavoro.

Un pennello da barba per tornare a radersi senza sentire la pelle dura del viso sotto le lame del rasoio. Uno «sfizio» da quattro euro al supermercato che Ernesto è riuscito a concedersi con il primo stipendio come portinaio al Policlinico a Ponte San Pietro, dopo quasi due anni senza lavoro.

E ancora il «lusso» di poter pagare il colore e la piega dal parrucchiere per la moglie Mariella e un paio di scarpe per il piccolo Luca. «Un paio di belle scarpe» racconta appena terminato il turno all'ospedale sorridendo di quegli «eccessi» che non poteva più permettersi da tanto tempo. «Per il resto il mio stipendio, di mille euro, serve a coprire i debiti con la banca» continua.

Nel portafoglio ha un foglietto con il conto del carrozziere che sta ripagando un po' alla volta tirando una riga a penna sulle voci già saldate: la cinghia, le gomme, l'olio al motore. L'auto non la usava più da un po' di tempo: dal 17 luglio 2010 quando tutta la sua vita si è inceppata come un giradischi rotto.

«È come camminare sereno per strada, passo dopo passo con il piede che poggia sull'asfalto solido e poi, d'improvviso, cadere in una buca che non avevi visto, che non potevi vedere, e finire in un precipizio». Per Ernesto Sportelli, a 43 anni, il precipizio è stato la perdita di un lavoro decennale per via della crisi come custode all'Istituto sordomuti a Torre Boldone.

«Ho sempre lavorato - racconta -: ho fatto il giardiniere, il parcheggiatore e il manovale. A un tratto mi sono trovato a vivere con un euro al giorno, quello dell'indennità di invalidità di Luca, che ha un ritardo cognitivo». Già Luca, un bimbo «vivace però mi dà parecchio da fare». È nato proprio al Policlinico di Ponte San Pietro. «Gli raccontavo le barzellette quando ancora era nella pancia della mamma - ricorda -. Il parto era pericoloso: mia moglie è diabetica e i rischi al travaglio erano alti per lei e per il bimbo. Poi Luca è nato e mi ha subito sorriso».

Di prove nella vita Ernesto ne ha affrontate tante, ma quella che l'ha messo più in difficoltà è stata la perdita del lavoro. «Non voglio più che qualcuno paghi le bollette di luce e gas al posto mio - dice con i suoi occhi azzurri e limpidi, schietti ma inquieti -. Non voglio più perdere la dignità di uomo. Non voglio più rispondere a mio figlio quando lo porto a scuola e mi domanda: "adesso che fai?", che non so che fare, che vado a cercare un lavoro. Voglio dirgli che papà va al lavoro. È giusto così».

«Mi alzavo all'alba e mi mettevo alla ricerca di un impiego - racconta ripercorrendo gli ultimi due anni -. Vagavo tutto il giorno: la notte, quando rientravo, dormivo in auto perché non avevo il coraggio di guardare negli occhi mia moglie, non volevo che mi sentisse piangere. È stato difficile stare insieme. Il punto più basso l'ho toccato quando ho dovuto vendere le nostre fedi nuziali: non me lo sono mai perdonato. Spero un giorno di poterle riacquistare».

«In tanta disperazione - continua -, ho conosciuto anche la grande generosità. Sono un uomo fortunato. C'è chi mi ha lasciato una busta con dei soldi nella buca delle lettere, e poi il parroco, un catechista e il padrone di casa mi hanno aiutato tantissimo». «I debiti però aumentavano - ricorda - e un giorno, furioso, ho bussato alla porta della Caritas e ho detto all'operatore che loro erano razzisti al contrario: aiutavano gli stranieri e non i bergamaschi che hanno bisogno. E invece sono entrato nel progetto del Fondo famiglia lavoro».

Con il Fondo attivato dalla diocesi di Bergamo e che studia varie forme di aiuto per chi ha perso l'impiego per via della crisi sono stati dati in pochi anni 100 posti di lavoro: l'azienda che assume gode di sgravi fiscali per 12 mesi. Alla scadenza delle agevolazioni, l'80% dei posti sono stati confermati. «Spero che sia così anche per me» dice Ernesto. La speranza infatti si è riaccesa il 14 marzo 2012 quando è stato assunto dal Policlinico San Pietro come portinaio.

«Il lavoro più bello della mia vita - dice -, non lo cambierei per nessun altro. È un incarico delicato: le informazioni ai malati, il trasporto di sangue, le emergenze. Sono felice perché posso restituire un po' dell'aiuto che ho ricevuto». «Mi hanno dato tanto al Policlinico - racconta Ernesto -: persino la divisa e i vestiti che indosso ora. Ma soprattutto la comprensione e l'umanità di tutti, dall'amministratore delegato Francesco Galli ai miei colleghi, una squadra di 4 portinai e 3 centralinisti con cui è nato subito un bel feeling. Ci sono dei medici che mi fanno dei regali: l'altro giorno in portineria ho trovato un maglione caldo».

Sarà il primo Natale sereno, finalmente, in casa Sportelli. «Anche se penso al prossimo 14 marzo, quando scadrà il contratto. Spero con tutto il cuore che questa bella opportunità non finisca».

Elena Catalfamo

© RIPRODUZIONE RISERVATA