Leucemia acuta linfoblastica:
il modello Riuniti fa scuola

E’ targato Bergamo uno studio innovativo che applica la biologia molecolare al trattamento della leucemia acuta linfoblastica dell’adulto. Pubblicato nei giorni scorsi sulla più autorevole rivista di Ematologia al mondo, «Blood», il trial clinico (coordinato da Renato Bassan) ha dimostrato l’efficacia dell’impiego della biologia molecolare per stabilire chi tra i malati abbia realmente bisogno di un trapianto di midollo osseo e chi invece possa sottoporsi unicamente alla chemioterapia. Un’informazione vitale, considerando l’elevata tossicità del trapianto allogenico.

“I pazienti che sulla base delle informazioni ottenute dall’analisi molecolare abbiamo potuto trattare solo con la chemioterapia hanno ottenuto una remissione di malattia e una sopravvivenza del 75%”, spiega Alessandro Rambaldi, Direttore dell’Ematologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo. “In dieci anni – prosegue Rambaldi - abbiamo studiato 280 pazienti trattai in tutta Italia secondo il protocollo ideato a Bergamo. Abbiamo sottoposto le cellule leucemiche di questi malati a una raffinata analisi molecolare, isolando e sequenziandone il Dna: in questo modo abbiamo creato una sonda molecolare specifica per ogni paziente che ci ha consentito di individuare a intervalli di tempo regolare, la persistenza di cellule malate nel loro organismo e stabilire se vi fosse una ripresa a breve termine della malattia. Solo in questo caso, i pazienti diventavano candidati al trapianto”.

In letteratura esistono studi retrospettivi sull’argomento, ma questo è il primo trial clinico nella leucemia acuta linfoblastica dell’adulto in cui cruciali decisioni terapeutiche sono state prese sulla base delle indicazioni date dalla biologia molecolare. Bergamo può quindi a pieno titolo considerarsi apripista nel tracciare una strada destinata a rivoluzionare l’approccio terapeutico.

“Il lavoro in laboratorio ha avuto un peso determinante e senza la competenza e la dedizione delle nostre specialiste in biologia molecolare (Orietta Spinelli, Manuela Tosi e Barbara Peruta) del laboratorio Paolo Belli non avremmo potuto fare nulla. Farci guidare dai riscontri forniti da queste sonde molecolari ha significato risparmiare il trapianto a moltissimi pazienti, una scelta che finora veniva compiuta in maniera empirica”.

L’impiego della biologia molecolare per trattare al meglio questi pazienti oggi è uno standard che viene applicato in tutti i centri di riferimento internazionali per la terapia di questa malattia e che a Bergamo è in uso dal 2000.

“La ricerca deve però proseguire – spiega Rambaldi - perché dobbiamo migliorare ancora sotto molti aspetti. Nel nuovo studio appena partito vogliamo affinare la qualità delle sonde molecolari, che è molto legata alle caratteristiche individuali del malato e che oggi può essere più o meno sensibile, (capace cioè di individuare una cellula malata su diecimila oppure su un milione di cellule sane), e vogliamo anticipare il momento in cui prendere la decisione di avviare o meno il paziente al trapianto allogenico, che per alcuni pazienti rappresenta l’unica possibile terapia efficace. Anche per questo è solo grazie alla presenza di specialiste dedicate alla gestione e al coordinamento dello studio - Elena Oldani e Federica Delaini - che questi progetti diventano realtà applicate a tutti i nostri pazienti. Progetti destinati a cambiare in meglio la vita di molti malati”.

La ricerca è stata sostenuta anche dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.

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