Antiquaria morta in Santa Caterina
Il pm: il marito non è un assassino

La moglie era morta dopo un intervento in ospedale e lui, quando già pareva essere definitivamente sancita la sua estraneità, s’è ritrovato nei panni del possibile assassino: ritardando il ricovero, avrebbe accettato il rischio che la donna potesse morire.

La moglie era morta dopo un intervento in ospedale e lui, quando già pareva essere definitivamente sancita la sua estraneità, s’è ritrovato nei panni del possibile assassino, spedito in un fascicolo per omicidio volontario dal meccanismo giuridico del dolo eventuale: ritardando il ricovero, avrebbe accettato il rischio che la donna potesse morire.

Da un anno Massimiliano Tomezzoli, 45 anni, restauratore di Scanzorosciate, sta convivendo con questa spada di Damocle. Anche se ora può intravedere uno spiraglio: a febbraio, infatti, la Procura di Brescia ha chiesto l’archiviazione.

Cui si sono opposti i genitori della vittima, Patrizia Rodi, antiquaria di 33 anni con negozio in Borgo S. Caterina, che con la loro istanza costringeranno ora il gip a prendere in considerazione altre due strade: la restituzione degli atti al pm perché indaghi ancora o il rinvio a giudizio coatto.

È una vicenda intricata, quella che prende il via il 14 settembre 2005. Patrizia Rodi decide di sottoporsi a una laparoscopia esplorativa alla clinica S. Anna di Brescia, ma durante l’intervento le viene perforato l’intestino senza che nessuno se ne accorga. Dimessa il 17 settembre, accusa dolori. Il marito temporeggia, forse nella convinzione che si tratti di una normale sofferenza post-operatoria, come gli avevano confermato i due medici interpellati.

Invece, nella notte tra il 18 e il 19, la situazione s’aggrava, tanto che l’indomani il restauratore si decide ad accompagnare la consorte alla clinica S.Anna. È in corso una peritonite stercoracea, provocata dalla perforazione. Patrizia morirà il 13 gennaio 2006 agli Spedali Civili, dopo quasi 4 mesi di agonia.

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