«Yara non è morta per le ferite da taglio»
A porte chiuse le foto dell’autopsia

Nuova udienza del processo a carico di Massimo Bossetti, oggi in Tribunale. La giornata è dedicata alla deposizione della professoressa Cristina Cattaneo, il medico legale dell’Università di Milano che si è occupata dell’autopsia sul corpo della vittima, e del suo collega Luca Tajana, co-firmatario della relazione conclusiva. L’udienza si è conclusa poco prima delle 16,30.

Subito in mattinata la decisione del giudice: il momento della presentazione dell’autopsia con la spiegazione tramite diapositive avverrà a porte chiuse. Solo la stampa potrà restare all’interno dell’aula. La richiesta è arrivata dall’avvocato Andrea Pezzotta, parte civile della famiglia Gambirasio, che ha proposto la presa visione delle immagini che saranno spiegate dalla Cattaneo senza il pubblico in aula. Il pm Ruggeri si è rimessa al giudice Antonella Bertoja che ha acconsentito: «Le immagini possono turbare lo svolgimento delle indagini e creare pregiudizio alla persona» queste le motivazioni, al fine di tutelare «l’immagine della giovane vittima».

Durante la deposizione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, sono state proiettate delle diapositive ritraenti il ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio, oltre immagini legate all’autopsia. Bossetti ha guardato le fotografie durante la relazione del medico, immagini molto forti che ritraggono il cadavere della piccola Yara. L’autopsia, ha detto la professoressa, è durata due giorni: «Effettuate anche tac e Raggi X».

La professoressa Cattaneo intervenne il pomeriggio stesso del ritrovamento del corpo di Yara in mezzo al campo di via Bedeschi a Chignolo d’Isola, il 26 febbraio 2011, per una prima ispezione esterna. All’obitorio di Milano, nei giorni successivi, iniziò l’esame autoptico, particolarmente complesso. Solo a maggio fu possibile la restituzione della salma ai familiari e solo nel mese di agosto, dopo ripetute proroghe chieste al pm Letizia Ruggeri, l’esperta consegnò la sua relazione conclusiva sulle cause della morte di Yara, un’opera da 352 pagine (allegati esclusi).

Secondo Cattaneo, Yara morì la sera stessa del 26 novembre 2010, giorno della scomparsa, e il suo corpo «in via di elevata probabilità» rimase «nel campo di Chignolo d’ lsola dal momento della sua morte al momento del ritrovamento». In aula la professoressa ha dichiarato che la ragazza morì «intorno alla mezzanotte o nelle prime ore del giorno successivo». Confermata la presenza di calce sulle scarpe, le lesioni e nei polmoni.

Quanto alle cause «non è possibile per il cattivo stato di conservazione della salma» stabilirle con certezza, ha scritto nella relazione la Cattaneo «tuttavia la durata dell’agonia nel contesto di elementi climatici sfavorevoli e il concorrere di lesioni traumatiche contusive e da taglio ben si accordano con una morte concausata da ipotermia e dagli effetti combinati delle lesioni», una tesi confermata anche in aula mercoledì mattina. Numerose le ferite da taglio, le contusioni al capo e al volto riscontrate sulla vittima.

«I tagli sul corpo di Yara Gambirasio furono inflitti mentre la ragazza ormai non si muoveva più». Lo ha spiegato il consulente della Procura: «Erano tagli precisi che, pertanto - ha detto il medico legale - furono fatti mentre Yara non si muoveva e, inoltre, non vi è alcuna ferita da difesa». Nessuna delle ferite da arma da taglio, fatte probabilmente con un coltello, è risultata mortale.

Inoltre vi sono numerosi elementi che derivano dalla biologia, dalla botanica e dell’entomologia che autorizzano a ritenere che Yara Gambirasio «sia stata aggredita e sia morta nel campo di Chignolo d’Isola in cui fu ritrovata» ha dichiarato Cattaneo.

Alle 11.45, al termine dell’intervento della Cattaneo, il pubblico è stato riammesso in aula. A prendere la parola l’avvocato Enrico Pelillo che ha chiesto alcune specifico alla professoressa: «Yara non è stata narcotizzata nè trascinata nel campo - ha spiegato la Cattaneo -: non si sarebbe neppure difesa».

Durante il processo si è parlato a lungo delle concause che avrebbero provocato la morte di Yara: la debolezza derivante dal sanguinamento a causa delle ferite d’arma da taglio, per quanto non mortali, che aveva sul corpo; alcune lesioni al capo, anch’esse non letali, e il fatto che rimase per ore nel campo di Chignolo d’Isola, dato che anche l’ipotermia fu causa del decesso. La professoressa Cattaneo ha parlato di ferite da «armi da taglio» delle quali una sola ferita «di punta e taglio» sotto la mandibola. Ferite presumibilmente causate da un coltello.

Intanto alla vigilia dell’udienza, l’avvocato Claudio Salvagni (che assiste Bossetti insieme al collega Paolo Camporini) sulla sua bacheca Facebook ha scritto: «Agli amici che vogliono farmi giungere suggerimenti, osservazioni e valutazioni (sugli argomenti medico-legali o dna) questo è il momento. Il processo analizzerà da domani questi argomenti. Grazie a tutti gli amici».

Intanto emergono dei numeri degni di nota. Quella legata al caso Yara, è stata infatti l’indagine dei grandi numeri e, come facile intuire, anche dei grandi costi. Mentre è in corso il processo al presunto assassino Massimo Bossetti, per chi ha condotto l’inchiesta è tempo di bilanci economici, oltre che processuali. Anche perché proprio in questo periodo, in Procura e in Tribunale, è in atto l’ispezione periodica ministeriale e tutto viene verificato nel dettaglio.

Dire «quanto è costata» l’indagine sulla morte di Yara è impresa ardua, perché all’inchiesta hanno contribuito molte anime, ciascuna con centri di costo differenti: il ministro della Giustizia, quello della Difesa (a cui fa capo l’Arma dei carabinieri) quello dell’Interno (per la parte polizia di Stato).

Un dato certo - anche se parziale - c’è e riguarda le spese liquidate dalla Procura: ammontano a un milione e 30 mila euro. A questa cifra si riferisce tutta una serie di spese in cui la parte del leone l’hanno fatta le intercettazioni telefoniche, in termini di noleggio apparati e costo delle operazioni con le diverse compagnie telefoniche. Non solo: si pensi anche ai numerosi interpreti stranieri impiegati nell’arco di cinque anni di indagini.

Nel milione e rotti liquidato dalla Procura ci sono anche i pagamenti delle numerose consulenze disposte dal pm Letizia Ruggeri per far luce sul caso: l’autopsia, gli studi sul Dna, per esempio. Il bilancio è parziale, perché al conto mancano le spese vive sostenute da carabinieri e polizia.

Venerdì è in programma una nuova udienza e saranno sentiti il medico legale Dalila Ranalletta, consulente di parte, e il maresciallo Alessandro Gatti dei Ros di Brescia che nelle indagini si è occupato delle celle telefoniche.

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