Delitto di Cene, chiesti 30 anni
La famiglia della vittima: 2 milioni

In udienza preliminare, davanti al gup Raffaella Mascarino, aveva ammesso le sue responsabilità sull’omicidio di Madalina Palade.

La 27enne ballerina romena è stata uccisa nel marzo scorso a Cene. Isaia Schena, 37 anni, camionista di Cene, accusato di omicidio aggravato dalla minorata difesa della vittima, dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà e dallo stato di ubriachezza abituale, è stato ammesso al rito abbreviato e lunedì 2 marzo è iniziata la discussione con la presentazione delle richieste da parte del pm Fabrizio Gaverini, del difensore Roberto Bruni e della parte civile: la mamma, il papà e la sorella dell vittima.

Gaverini ha chiesto la condanna di 30 anni di carcere, Bruni l’esclusione di tutte le aggravanti mentre la famiglia di Madalina una provvisionale di 500 mila euro, in vista di un risarcimento totale di 2 milioni. La sentenza è fissata per il 27 marzo.

Anche davanti al giudice preliminare Schena, che è ancora in carcere, ha ammesso gli addebiti e ricostruito i fatti nei particolari, come aveva fatto a suo tempo davanti a pm e gip. Aveva spiegato di aver perso il controllo, senza alcuna provocazione da parte di Madalina Palade, di averla aggredita e uccisa senza una spiegazione.

L’accordo fra i due – fu la versione di Schena – era che si sarebbero dovuti incontrare la sera di domenica 9 marzo 2014, per andare in albergo e consumare un rapporto sessuale. Nel tardo pomeriggio, tuttavia, Schena ebbe un incidente con la sua macchina, un’Audi A3 station wagon: era finito contro un muretto in via Zeno Capitanio, a Cene, facendo tutto da solo. Aveva cercato di aggiustare l’auto e di cambiare una gomma, senza riuscirvi. Così, aveva lasciato l’auto parcheggiata vicino alla baracca sul monte Bue, poi divenuta teatro del delitto. Così, fu Madalina a riaccompagnarlo alla baracca. A quel punto – stando alla versione del 37enne – sarebbe stata la ragazza a chiedergli di rivedere i piani. «Si sta facendo tardi e io fra un po’ ho un appuntamento in un altro posto – avrebbe detto Madalina – . Restiamo qui». Schena accettò. E quella scelta fu, di fatto, la condanna a morte per la ragazza. Il camionista non fornì una spiegazione sul movente del delitto, sostenendo che si trattò di un raptus inspiegabile. Ammise di aver fatto uso di cocaina e di alcolici: un cocktail che certo gli aveva annebbiato la mente, facendogli perdere il controllo, fino al tragico epilogo. L’avviso di conclusione delle indagini preliminari parla di un omicidio compiuto «a pugni e colpi di bottiglia» e «con il collo rotto della bottiglia», provocando una serie di lesioni risultate fatali.

Schena sostenne anche che non aveva mai pensato a scappare (come gli inquirenti avevano ipotizzato in una prima fase, avendo trovato la sua auto danneggiata), bensì di essersi pugnalato all’addome nel tentativo di togliersi la vita, essendosi accorto – in un barlume di lucidità – del gesto atroce che aveva compiuto. Fu trovato il giorno seguente. «Sarebbe stato meglio se i soccorritori non mi avessero salvato la vita, se mi avessero lasciato lì a morire, come avrei voluto io, dopo quello che avevo fatto», aveva detto al pm.

A luglio dell’anno precedente Schena aveva già picchiato una prostituta romena nella baracca sul monte Bue: per quell’episodio è stato condannato a tre anni. Non solo: il camionista è indagato anche per procurato aborto.

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