«Il Parkinson non ci ha fermato»
Malati speciali si raccontano

Movimenti sempre più scoordinati, la parola rallentata: una diagnosi di Parkinson, anche oggi, con possibilità terapeutiche innovative, è come ricevere una condanna all’isolamento.

E proprio contro l’isolamento sono gli stessi malati a promuovere una iniziativa di sensibilizzazione sociale. «Chi si ammala di Parkinson tende assai spesso a rinchiudersi su se stesso. E la stessa società non lo aiuta - spiega Marco Guido Salvi, coordinatore della sezione di Bergamo e vicepresidente nazionale dell’Aip, Associazione italiana Parkinson -. Per questo abbiamo scelto esempi di persone che, nonostante il Parkinson, anzi forse proprio grazie al Parkinson, vivono passioni, sfide e raggiungono traguardi che probabilmente non avrebbero mai toccato».

L’incontro, intitolato «L’inguaribile voglia di vivere», si terrà il 6 giugno al Centro congressi. Perché una malattia come il Parkinson ti cambia la vita, ma anche la prospettiva e spesso può essere una rinascita. «E non è retorica. La malattia ti aiuta a capire quanto è speciale la vita. Avere il Parkinson significa avere una compagnia difficile con te, ma anche scoprire nuove risorse. Io, che ho sempre amato lo sport, odiavo la corsa: ora andrò a New York, a fare la maratona».

E non è la prima gara che Diego Ortelli, di Villa di Serio, 42 anni, di Villa di Serio, malato già da 5, fa «insieme» al Parkinson. «Ero idraulico, ora sono in cassa integrazione, ma grazie a tanti amici riesco a lavorare. Quando mi hanno diagnosticato la malattia, ero già uno sportivo: prima calciatore, poi alpinista, ho scalato anche il Monte Bianco. Poco prima di sposarmi, i sintomi e la diagnosi. La corsa? Ho cominciato grazie al consiglio di alcuni amici: all’inizio non riuscivo a stare sul tapis roulant. Ora mi alleno tutti i giorni, e più corro, più il lato destro del mio corpo, che sembra bloccato, è come se si riattivasse. Ho appena fatto la mezza maratona Sarnico-Lovere: che emozione. E quest’autunno sarò a New York. Mia moglie? Non corre, ma nella Grande Mela ci verrà eccome».

Anche Giuseppe Montagna, ingegnere, origini livornesi, classe 1940, come Diego ha accanto la moglie, che per diversi anni lo ha accompagnato come «secondo» nelle gare per auto storiche. «Però come navigatore era troppo distratta, l’ho subito fatta smettere», scherza Giuseppe. Già, perché l’ingegnere livornese, per anni dirigente dell’allora Dalmine e docente all’Università di Pisa, proprio dal Parkinson ha trovato la spinta per realizzare un suo sogno.

«Ho sempre amato la velocità, guidare le auto. Nel 1982 mi hanno diagnosticato la malattia e poco dopo ho deciso che l’automobile era la mia nuova chance - racconta -. Ho acquistato un’auto d’epoca, una Giulia Sprint, poi ho deciso che dovevo correre la Mille Miglia e grazie all’interessamento di Marella Agnelli e del Museo storico Alfa di Arese ho avuto un’auto d’epoca. Ne ho fatte due di Mille Miglia e fino al 2010 con lo slogan sulla mia Giulia Gt “Il Parkinson non ferma la vita” ho continuato fino al 2010. Ora sono fermo, in carrozzella, ma la mia mente corre ancora».

Un ciclone, come Fiorello Lorenzi, di Carobbio, classe 1947, ex dirigente commerciale, sposato, «e nonno di 4 splendidi nipoti»: «Mia moglie dice che non mi ferma neppure il Parkinson. Adoravo la pesca, ero bravo, ma con questo tremolìo non abboccherebbe nulla. Io però non potevo non reinventarmi: ho scritto tre libri, il primo sulla pesca, e i proventi li ho donati alla ricerca, gli altri sulla mia condizione e con questo fondo ho ideato il progetto “Fiore”con lo scopo prima di aiutare chi è colpito da malattie genetiche e ora con un fondo di microcredito per sostenere chi è in difficoltà. Il Parkinson non mi ha fermato, anzi mi ha rafforzato nella volontà di sconfiggere indifferenza ed egoismo».

Come non si è fermato Giulio D’Adda, 67 anni, di Ranica e falegname, diagnosi di Parkinson 8 anni fa: «La passione per il legno mi è rimasta, faccio lavoretti per amici e restauro mobili antichi, ci metto un po’ più di tempo del solito, ma mi fa bene. Come mi fa il teatro: ho scoperto quanto può essere utile grazie al laboratorio di teatro terapia avviato dall’Aip 6 anni fa. Calcare le scene all’inizio mi spaventava, temevo di non ricordare le battute, di non saper parlare bene. Invece ora sono responsabile della compagna Teatro&Tremore. Per quest’autunno sarà pronta una nuova pièce. Di che tratta? Diciamo che si parla di amore».

Carmen Tancredi

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