Un migliaio per Marco Gusmini
Veglia e fiaccolata a Lovere

Ora qui non esiste più il buio. Comincia così l’ultimo sabato sera di Marco Gusmini. Comincia con la veglia ed è una lungo viaggio a tappe dentro la tua vita. La gente arriva a frotte e si stipa nel salotto di via Giovanni XXIII che domenica a Roma proclamano Santo.

Ora qui non esiste più il buio. Comincia così l’ultimo sabato sera di Marco Gusmini. Comincia con la veglia ed è una lungo viaggio a tappe dentro la tua vita. La gente arriva a frotte e si stipa nel salotto di via Giovanni XXIII che domenica a Roma proclamano Santo.

Sono così tanti gli amici che la fila si allunga fin quasi in fondo alle scale. Sono le 20 e pian piano si riempie la strada che finisce col tuo palazzo, poi il piazzale sopra la palestra. Arriva un mare di gente.

Arrivano da Lovere, dai paesi del circondario, arrivano fin da Milano, un gruppo da Cazzano Sant’Andrea, Brescia, con il parroco don Luigi Venni che ti ha conosciuto da piccolo quando prestava servizio qui. Arrivano da Cevo, per tutti c’è il sindaco Silvano Citroni con volto terreo. Accanto il tuo sindaco Giovanni Guizzetti.

Ci sono le suore delle Sante e i frati Cappuccini. Un sacco di bambini, alcuni con una maglietta bianca e in rosso la scritta «Ciao Marco». Tanti ragazzi, giovani, i coetanei di mamma e papà, dei nonni. Con la veglia stavolta il sabato sera comincia a casa tua. Ti piacerebbe, ci sono tutti. Dicono meno, ma 700 ci sono tutti. Hanno le chitarre e i bonghi, cominciano a cantare, tolgono le fiaccole dai cartoni appoggiati al muro del piazzale e pian piano si accendono. Illuminano la notte di mille colori fiochi. Sulla facciata del tuo palazzo resta una sola luce accesa, è quella del tuo appartamento. Ti piacerebbe. Don Claudio, il tuo curato, è bello alto come sai, si staglia tra i ragazzi e porta una croce. Quella è arrivata venerdì mattina, eri ancora prigioniero nei locali angusti dell’ospedale di Esine. L’ha portata uno scultore di Esine. È la croce imperfetta con un braccio storto, ma il Crocifisso ha gli occhi vivi, gli occhi di un Cristo risorto. Andiamo, Marco. Siamo a centinaia, ti piacerebbe un sacco. Prendiamo la strada che facevi tu a piedi per andare in oratorio, la tua seconda casa.

I ragazzi dell’oratorio distribuiscono un foglio, s’intitola «Veglia con Marco... Nulla da temere» con il punto esclamativo in fondo. Percorrendo i tuoi passi, leggiamo delle parole stupende. La preghiera del Viandante, per esempio. Le parole di Papa Giovanni che in questi giorni abbiamo sentito spesso anche in tivù, comincia così il discorso: solo per oggi cercherò di vivere alla giornata... E poi quelle, stupende, di Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura». Come risuonano in questa notte.

Infine le parole, altissime, del cardinal Martini. Finiscono così e salutano la morte: «Adesso, anche se è lei a bussare, io so che sarai tu a entrare: il tempo della morte è finito. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo...». Noi, che camminiamo sui tuoi passi, noi non ancora. Tu, Marco, sì. Passiamo il santuario delle Sante, li facciamo tappa, poi dentro e fuori le due gallerie, a sinistra l’ospedale, ci fermiamo davanti a Santa Maria in Valvendra. Pochi passi si gira in su e siamo in oratorio. Arrivati. È una festa strana, perché non sei nella fila. O forse sì, o forse ci vedi e sorridi da altrove. Forse tu sì, sei già arrivato a Casa.

Tutta sta gran folla ci sarà anche oggi, alle 15 in basilica. Il tuo ultimo sabato sera in oratorio finisce con le parole di don Claudio Laffranchini: «Corri corri, brilla brilla».

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