L’ultimo giorno da senatore
Ora deve definire la nuova strategia

Silvio Berlusconi deve ancora elaborare il lutto. Almeno questa è l’impressione che si ricava dalla sua uscita di scena, accompagnata da senatrici in nero e da un comizio sotto le attese, privo di nuovi spunti politici e delle consuete frecciate polemiche all’indirizzo del Quirinale.

Silvio Berlusconi deve ancora elaborare il lutto. Almeno questa è l’impressione che si ricava dalla sua uscita di scena, accompagnata da senatrici in nero e da un comizio sotto le attese, privo di nuovi spunti politici e delle consuete frecciate polemiche all’indirizzo del Quirinale.

Dalla tribuna improvvisata sotto palazzo Grazioli, mentre il Senato decretava la sua decadenza da parlamentare, il Cavaliere ha parlato di colpo di Stato, di funerale della democrazia e ha assicurato che non si arrenderà. Continuerà la sua battaglia dall’opposizione, ancora alla guida del centrodestra come ha fatto sapere la figlia Marina, ultimo baluardo di un ipotetico rilancio.

Ma nello stesso momento in tutto il mondo si rincorrevano le breaking news della decadenza, quasi che a Roma si chiudesse un cerchio come ai tempi di Mario e Silla, di Cesare e Pompeo: con Giancarlo Galan pronto a paragonare Alfano a Bruto (» a pugnalato Silvio a tradimento» . Nelle stesse ore il Consiglio dei ministri varava il taglio definitivo dell’Imu sulla prima casa e la rivalutazione delle quote di Bankitalia, a sottolineare come il governo avesse mantenuto le sue promesse senza farsi incastrare in una pericolosa sovrapposizione della battaglia politica con quella giudiziaria di Berlusconi.

Forse il fotogramma più significativo della giornata è stato il silenzio con cui, dopo il voto, i «patres conscipti» hanno abbandonato l’aula di palazzo Madama (con l’unica eccezione dei 5 stelle): segno che qualcosa di eccezionale è accaduto e che molti dubbi continuano a serpeggiare tra i centristi e alcuni democratici (che pure hanno votato sì alla decadenza) per il modo in cui si è giunti all’atto finale di questa storia.

Adesso si entra in un territorio sconosciuto. Berlusconi non ha ancora definito la sua strategia. Avrà bisogno di tempo per organizzare la resistenza. Il suo problema principale sarà quello di evitare un’emorragia in direzione del Nuovo centrodestra. Come si è visto nel dibattito al Senato, la rabbia corre soprattutto tra ex, con il plateale scontro tra Bondi e Formigoni. Il che significa che a destra ci sono rapporti da ricostruire e macerie da sgombrare. Ammesso che sia possibile.

I sondaggi suggeriscono che uno spazio esista, a condizione che gli alfaniani non vengano schiacciati a sinistra. Però al centro si è messo in moto un meccanismo di ricomposizioni all’ ombra del popolarismo europeo che porterà Alfano a dialogare sempre più con Mauro, con Casini e con lo stesso Monti: un potenziale polo d’attrazione con importanti agganci in Europa dal quale Berlusconi rischia di restare tagliato fuori. Significherebbe dire addio all’anima moderata di Forza Italia. I sondaggi comunque hanno l’aria del provvisorio. Manca infatti un elemento determinante: l’esito delle primarie del Pd.

E’ come se sul tavolo da gioco non fosse stato ancora calato l’asso decisivo, Matteo Renzi, il grande favorito nella corsa alla segreteria. Roberto Formigoni sostiene che il sindaco di Firenze ha di fatto già consegnato una dichiarazione di guerra a Letta. Forse non è proprio così: bisognerà vedere prima quanti saranno i votanti ai gazebo del Pd (i renziani puntano ad un tetto minimo di due milioni, sotto il quale si tratterebbe di una sconfitta) e soprattutto il peso dell’opposizione interna (al momento piuttosto sottovalutata).

Ma al di là di queste schermaglie, c’è il ruolo del Quirinale che sta tentando di stabilizzare il quadro politico. Letta ha fatto sapere di non considerare finite le larghe intese e ha sottolineato di avere al Senato una maggioranza uguale a quella del governo Berlusconi nel 2008. In altri termini, l’orizzonte resta il 2015; la situazione è eccezionale e l’Italia - dice Letta - sta facendo quello che fanno anche Germania, Austria, Finlandia e Irlanda. Il presidente del Consiglio esclude un rimpasto, promuoverà presto un incontro di maggioranza e pensa di poter avere con il futuro segretario del Pd un confronto positivo. Tradotto, un invito a Renzi a collaborare alla transizione perché l’asse con Alfano è saldo e sostenuto dal Colle. Le incognite a questo punto sono tutte extraparlamentari: nel Pd si teme che si possano saldare nelle piazze i populismi di Grillo e di Berlusconi. Si tratterebbe di una pesante ipoteca sul cammino delle riforme, fondamentali per parlare di un successo della legislatura e del doppio mandato di Napolitano

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