Caso Yara, nell’archivio degli orfani
la soluzione del fitto mistero

C’è un’immagine che rende bene che cosa è stata questa inchiesta. Due agenti della squadra mobile di Bergamo per tre mesi rinchiusi in un polveroso locale dell’Archivio di Stato di via Bronzetti.

C’è un’immagine che rende bene che cosa è stata questa inchiesta. Due agenti della squadra mobile di Bergamo per tre mesi rinchiusi in un polveroso locale dell’Archivio di Stato di via Bronzetti, curvi su vecchi registri scritti a mano e ampi come finestre, impegnati a compulsare gli elenchi dell’Omni, l’Opera nazionale maternità e infanzia, l’ente che assiste gli orfani e le ragazze madri. Hanno cercato anche lì «Ignoto 1», da quando gli inquirenti sono venuti a sapere che era figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni. I poliziotti hanno controllato migliaia di dati anagrafici, prendendo in considerazione solo i maschi nati nel ventennio tra il 1955 - quando Guerinoni era diciassettenne - e il 1975.

Da quei faldoni è uscita una lista di 200 nomi, che sono finiti in un altro elenco, quello delle persone destinate al test del dna. Non era sortito nulla da quella moltitudine di orfani e figli non riconosciuti dai padri naturali, perché il presunto assassino, Massimo Bossetti, una famiglia ce l’aveva e nemmeno sospettava di essere stato concepito da un altro uomo.

Ecco, quella su Yara è stata anche l’inchiesta degli elenchi da controllare e scremare. Le cifre snocciolate ieri in conferenza stampa dal pm Letizia Ruggeri sarebbero riuscite a far impallidire anche il più paziente degli inquirenti. Perché, in fondo, che cos’erano quei giganteschi registri che hanno sputato 200 nomi, a confronto delle 120 mila utenze telefoniche che nelle 4 ore a cavallo della scomparsa di Yara avevano agganciato la cella di via Natta a Mapello, quella che aveva fatto da rimbalzo all’ultimo sms ricevuto dalla tredicenne?

Anche in questo caso dati da analizzare, inserire in un cervellone elettronico impostato con determinati criteri di scelta, per poi procedere al test del dna da comparare a quello dell’omicida: precedenza alle chiamate partite o arrivate a pochi minuti dalla sparizione della piccola ginnasta e agli utenti con precedenti penali; in coda invece i residenti della zona che si sarebbero potuti trovare anche a casa mentre telefonavano. Massimo Bossetti e il fratello Fabio erano in quel monumentale elenco, ma non erano ancora stati chiamati per il tampone salivare perché incensurati e perché abitavano nelle vicinanze.

«Però prima o poi sarebbe toccato anche a loro - ha puntualizzato il pm Ruggeri - perché non avremmo mai tralasciato nulla. Magari tra dieci anni, ma Massimo Bossetti sarebbe stato catturato».

Già, perché pure i candidati all’esame biologico confluiti dai vari elenchi rappresentano una consistente lista. La polizia scientifica dall’aprile 2011, periodo in cui era stato estrapolato il profilo genetico all’assassino, ha analizzato 4.897 campioni, i carabineri del Ris di Parma 9.488 (con altri 7.435 in attesa di esame). Totale: 14.385 eseguiti, 21.820 se si contano pure quelli in stand-by.

E davvero sarebbero passati anni per smaltirli, se - come spiegato ieri da Letizia Ruggeri - «per un test col tampone bastano pochi secondi, mentre per lavorare il campione ed estrapolare il dna ci vuole un intero pomeriggio».

E che dire della valanga di nomi che ha travolto gli agenti della squadra mobile quando hanno bussato ala discoteca-club «Sabbie Mobili Evolution» per chiedere i dati anagrafici dei clienti? Trentatremila - roba da scoramento acuto - tra cui Damiano Guerinoni, il nipote di Giuseppe. Anche il suo dna ha contribuito a generare una lista di nomi, in pratica quelli del suo albero genealogico. «Sapevamo che “Ignoto 1” apparteneva alla sua famiglia, ma non riuscivamo a trovare il codice genetico esatto. Siamo risaliti sino ai parenti del 1815», ha illustrato il pm.

Davanti a questi numeri, dev’essere così sembrata una passeggiata la caccia anagrafica alla madre di «Ignoto 1», con la raccolta delle generalità delle donne che dal ’70 al ’90 avevano frequentato Salice Terme, località dove Giuseppe Guerinoni passava le vacanze, e la mappatura di Gorno e dei paesi limitrofi. In quest’ultimo caso gli inquirenti hanno preso in considerazione, oltre alle ragazze madri, tutte le donne emigrate dalla Valseriana tra gli anni ’60 e ’70, dando così vita a un altro elenco da destinare ai laboratori di genetica: 532 signore scese a valle per le più disparate ragioni e tra le quali gli investigatori speravano di trovare qualcuna allontanatasi per la vergogna di un figlio illegittimo.

Ester Arzuffi, la madre del presunto assassino, era in quella lista. Partita da Parre per cercare lavoro insieme al marito e custodendo in grembo due gemelli e un segreto.

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