Roncalli e l’avvocato degli ebrei
«Aiutò i perseguitati della Croazia»

«Roncalli e l’avvocato degli ebrei», così il futuro Giovanni XXIII oggi santo aiutò i perseguitati dai nazisti in Croazia. Lo rivela la ricostruzione storica di Giovanni Preziosi in un articolo apparso su L’Osservatore Romano.

«Roncalli e l’avvocato degli ebrei», così il futuro Giovanni XXIII oggi santo aiutò i perseguitati dai nazisti in Croazia. Lo rivela la ricostruzione storica di Giovanni Preziosi in un articolo apparso su L’Osservatore Romano.

Ecco l’articolo

Nella primavera del 1943, in gran parte dell’Europa occidentale e balcanica, riprese vigore con particolare violenza la persecuzione degli ebrei. Era il preludio della «soluzione finale» che anche in Croazia scattò all’indomani della visita di Heinrich Himmler, giunto a Zagabria agli inizi di maggio per liquidare definitivamente la questione ebraica. «Dimorando [Himmler] qui — osservava l’inviato della Santa Sede, Giuseppe Ramiro Marcone, il 10 maggio 1943 in uno dei tanti rapporti inviati al cardinale Maglione — sono stati ricercati gli ultimi ebrei residenti nella Capitale e in tutta la Croazia e deportati in Germania. Si calcola che ne siano stati catturati circa 600. Ora non restano che pochi ebrei nascosti e fuggiaschi. La Gestapo dirigeva le operazioni di ricerca coadiuvata dalla polizia croata. Tanto io, quanto l’arcivescovo [Stepinac] non abbiamo trascurato di recarci presso il ministro degli interni per perorare la causa ebraica».

L’eco di questi fatti giunse anche all’orecchio del delegato apostolico in Turchia, monsignor Angelo Roncalli che, il 26 maggio, ne apprese tutti i particolari dalla responsabile della sezione turca della Women International Zionist Organization Maria Bauer e dal delegato di un’agenzia di soccorso agli ebrei europei, Meir Touval-Weltmann i quali, quasi ogni settimana, si recavano alla delegazione per consegnare liste di nomi di intere famiglie ebree bloccate con i loro bambini nei territori occupati dall’Asse che, puntualmente, venivano recapitate alla Santa Sede mediante monsignor Victor Hugo Righi.

L’11 giugno 1943, in uno di questi incontri, Weltmann consegnò a Roncalli una lettera per ringraziarlo della «benevolenza paterna di Vostra Eccellenza in favore dei nostri rifugiati ebrei», non mancando di sottolineare, in un circostanziato «promemoria» allegato alla missiva, l’opera encomiabile svolta dalla Santa Sede nel salvataggio degli ebrei. «Noi sappiamo — scriveva Weltmann — che mons. Stepinac ha fatto tutto il possibile per aiutare ed alleviare la sorte infelice degli Ebrei in Croazia, il cui numero oggi, secondo informazioni, non supera i 25.000, comprese le donne e i bambini». Allo stesso tempo lo pregava di esortare il presule croato a continuare, «con il suo alto prestigio e la sua attività, a salvare i loro infelici fratelli, specialmente quelli già arrestati nel mese precedente insieme con il Presidente Dott. Hugo Kon e il Rabbino Dott. Miroslav Freiberger».

Roncalli il 30 maggio aveva inviato un telegramma alla Segreteria di Stato chiedendo l’intervento immediato per un gruppo di 400 profughi ebrei croati internati nel campo di concentramento di Jasenovac, tra i quali figuravano anche il presidente della comunità ebraica di Zagabria Ugo Konn e il rabbino capo Miroslav Šalom Freiberger aggiungendo, inoltre, che la Jewish Agency era «disposta (ad) incaricarsi (della) trasmissione immediata (in) Palestina». Il cardinale Maglione appena lesse il telegramma, il 2 giugno successivo, immediatamente scrisse al visitatore apostolico Marcone, pregandolo di fare tutto il possibile per alleviare le sofferenze degli ebrei rastrellati e internati nei campi di concentramento in vista della deportazione nei lager nazisti. Le direttive impartite dalla Segreteria di Stato furono puntualmente applicate tant’è che, in più di una circostanza, il segretario del visitatore apostolico, don Giuseppe Masucci, si adoperò con coraggio e ingegno per salvare gli ebrei dal destino a cui andavano incontro.

L’8 luglio 1943, infatti, appena fu informato che la famiglia del medico di origini ebraiche Rechnitzer stava per essere deportata, Masucci subito si precipitò a casa loro e li accompagnò personalmente fino alla stazione per assicurarsi che riuscissero a fuggire. Giunti sul luogo, l’audace monaco benedettino si accorse che la zona era completamente presidiata dalla polizia. Mentre rifletteva gli sembrò di scorgere tra la folla una persona di sua conoscenza. Neanche a farlo apposta si trattava di Ciro Verdiani, che dal maggio del 1941 era stato inviato a Zagabria per dirigere l’Ispettorato generale di Polizia e l’11ª Zona Ovra. Naturalmente, il buon frate non si lasciò sfuggire l’occasione per interporre i suoi buoni uffici con l’alto funzionario il quale, immediatamente, ordinò ai gendarmi di lasciar passare la famiglia Rechnitzer che, non credendo ai propri occhi, tirando un lungo sospiro di sollievo s’infilò in un vagone che li avrebbe condotti sani e salvi in Italia.

In realtà, il segretario del-l’abate Marcone poteva avvalersi di queste amicizie influenti nelle alte sfere della gendarmeria anche grazie al fratello Alfonso che, proprio il 24 giugno 1943, aveva ricevuto dal ministero della guerra l’incarico di capitano della delegazione militare italiana a Zagabria. Fin dal suo arrivo nella capitale croata don Giuseppe Masucci aveva preso talmente a cuore la sorte degli ebrei e di tutti gli altri perseguitati, che non perdeva occasione di raccomandare alle autorità «di avere misericordia verso chi soffr[iva]», al punto che, come scrive nel suo diario, si guadagnò persino il soprannome di «Avvocato degli ebrei» dal ministro dell’Interno Artukovic. In segno di riconoscenza per gli sforzi compiuti dalla Santa Sede, il 28 febbraio 1944, il rabbino capo di Gerusalemme, Isaac Herzog, inviò due distinti telegrammi sia a monsignor Roncalli e sia all’abate Marcone, in cui scriveva che «il popolo d’Israele non dimenticherà mai i soccorsi portati ai nostri sventurati fratelli e sorelle da Sua Santità e dai suoi illustri delegati, nell’ora più triste della nostra storia».

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