Spari al Tribunale: Giardiello
voleva uccidere anche a Carvico

Dopo aver ucciso tre persone in tribunale a Milano, Claudio Giardiello era diretto a Carvico. È stato preso a Vimercate perché voleva prendere l’A4 verso Bergamo.

Secondo gli investigatori Giardiello (nella foto dopo l’arresto) voleva raggiungere la zona dell’Isola Bergamasca per uccidere Massimo D’Anzuoni, suo socio di minoranza in una società.

Anche D’Anzuoni è coinvolto nel processo per fallimento fraudolento e alla cui udienza non si era presentato. «Devo la vita al mio avvocato - ha commentato in serata -, se non fosse stato per lui sarei stato in quell’aula. E probabilmente sarei morto».

Sarebbe toccato a lui, dopo il giudice Ciampi, il suo ex socio Giorgio Erba e il nipote Davide Limongelli: quando l’hanno bloccato, Giardiello stava per accedere al raccordo con l’A4 che l’avrebbe portato a Bergamo e da lì a Carvico, da D’Anzuoni.

L’imprenditore, al di là essere imputato nel processo trasformato in strage a Milano da Giardiello, nell’ottobre di due anni fa aveva patteggiato una condanna a tre anni ed un mese dopo esser stato arrestato a maggio del 2013.

Che aveva combinato il geometra titolare di varie società immobiliari? Assieme ad altri imprenditori e membri della Giunta municipale di Trezzano Sul Naviglio (Milano), oltre al comandante della polizia locale della cittadina milanese, era coinvolto in un giro di tangenti per la realizzazione di un’area commerciale.

Il perché D’Anzuoni fosse l’ultimo della lista del killer, è una lunga storia fatta di soldi in nero, partecipazioni societarie, appartamenti venduti e comprati, amicizie rotte. «Credo che probabilmente l’inizio della sua crisi sia avvenuta nel momento in cui ha pensato che tutti gli amici lo avessero abbandonato, peccato che la storia non è andata così», ha detto D’Anzuoni al suo avvocato, Luigi Liguori.

Come sia andata davvero lo dirà il processo che è in corso. Quel che si sa è che la storia inizia nel 2002 e ruota attorno a due palazzine in via Biella, a Milano. L’immobile lo costruisce la Miani Immobiliare, società che fa capo per un 75% alla Cisep, in cui ha delle quote D’Anzuoni, e per il restante 25% alla Magenta immobiliare di Giardiello e Limongelli.

La Magenta verrà dichiarata fallita nel 2008 ma sono i passaggi che portano al fallimento a scatenare, probabilmente, la rabbia di Giardiello. L’accordo prevedeva infatti che la Miani corrispondesse alla Magenta un 3% sugli appartamenti venduti. Soldi che, dice oggi l’avvocato di D’Anzuoni, vengono regolarmente versati.

Ma il punto è un’altro: secondo l’accusa quel 25% di quota della Magenta serviva in realtà per far girare il «nero», che poi i soci si spartivano secondo accordi ben precisi. In sostanza, i soldi che venivano corrisposti al compromesso, al rogito sparivano e finivano nella contabilità occulta. L’intesa comincia a scricchiolare già nel 2004 ma alla fine i soci trovano una sorta d’accordo che prevede che ognuno rimetta la sua parte nella società.

D’Anzuoni, sostiene sempre l’avvocato, è l’unico che lo fa. E così salva la Miani, mentre la Magenta comincia ad andare a fondo. Anche perché, e siamo a fine del 2006, Giardiello, che era socio di maggioranza, estromette dalla gestione societaria il nipote, che era l’amministratore. E da quel momento, sostiene D’Anzuoni, i soldi invece che nelle casse della società finiscono tutti nelle tasche del killer, fino al fallimento che arriva nel 2008.

«Io non lo vedo e non lo sento dal 2007 - ripete ancora l’unico sopravvissuto - e devo la vita al mio avvocato». «E’ vero - conferma il legale - sono stato io a dirgli di non venire oggi in Tribunale: era in programma un’udienza tecnica, era previsto l’esame dei consulenti e il suo apporto non era necessario». A volte, il non esser necessario, può salvare la vita.

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