De la Calle racconta Modotti
donna simbolo del XX secolo

È stata una povera emigrante friulana, ha recitato a Hollywood, ha fotografato il Messico della rivoluzione ed è stata un'eroina nella guerra civile spagnola. Il suo nome è Tina Modotti (1896-1942), una donna simbolo del Ventesimo secolo. Una figura determinata, indipendente e scomoda, spesso dimenticata, oggi raccontata nella graphic novel del disegnatore spagnolo Angel de la Calle edita da 001 Edizioni.

De la Calle, ospite della fumetteria cittadina Comixrevolution, è un autore poliedrico: disegnatore di fumetti pubblicati anche in Francia e Usa, illustratore, vignettista, organizzatore di manifestazioni culturali (la sua «Semana negra» di Gijon ogni anno richiama migliaia di persone). La prima sorpresa dell'incontro è il suo italiano pratico e spigliato, anche se lui precisa che è una lingua che non ha mai studiato.

«L'italiano che conosco l'ho imparato leggendo fumetti. Per noi ragazzi in Spagna le opere dei disegnatori italiani erano qualcosa di mitico. La prima volta che sono venuto a Milano e mi hanno chiesto cosa volevo vedere io avevo in tasca un indirizzo preciso: la via dove si trovava la redazione della rivista Linus. Quando sono arrivato là per me era il massimo: ho chiesto alla portiera, molto stupita, di farmi una foto davanti all'ingresso».

Oggi il fumetto si contende uno spazio in mezzo a media come il cinema, i videogiochi e le serie tv: quale futuro vede?
«McLuhan diceva che quando un mezzo di comunicazione è superato tecnologicamente da un altro ha due possibilità: sparire o evolversi in arte. Pensiamo alla litografia. Nel 18esimo secolo i giornali erano stampati senza foto, poi c'è stata la possibilità di inserire le foto, la stampa è migliorata e la litografia è passata dalle mani degli artigiani a quelle degli artisti. Altro esempio con la fotografia: nel secolo scorso le edicole erano piene di fotoromanzi, più degli albi a fumetti».

«La televisione ha spazzato via tutti i fotoromanzi, ma non i fumetti che hanno saputo trasformarsi da linguaggio di massa per bambini in qualcos'altro. Abbiamo vissuto un momento storico: è sparito il fumetto come prodotto di massa, pensiamo al Corriere dei piccoli e ai giornalini che vendevano centinaia di migliaia di copie che hanno subito un duro colpo con l'arrivo della televisione».

«Oggi però c'è un gran numero di opere, come Maus, Persepolis e From hell, che ci permettono di raggiungere un pubblico che prima si allontanava dal fumetto. Perché i lettori a 20, 30, 40 anni cambiano interessi, lasciano gli albi dell'Uomo Ragno e si rivolgono ai libri. Molto raro invece che uno inizi a leggere fumetti a 40 anni, perché il linguaggio del fumetto è sì immediato ma non è per niente facile, ha le sue regole».

Qual è lo stato di salute del fumetto in Spagna?
«È un momento molto interessante in Spagna per il fumetto: tutti i giornali hanno spazi dedicati alla critica, alle interviste agli autori e alle recensioni di fumetti. Molta attenzione è riservata ai graphic novel. La comparsa del fumetto d'autore nelle grandi catene di librerie ha contribuito alla diffusione di queste opere. In Francia ovviamente c'è già una tradizione radicata e anche in Usa e Giappone. Anche in Italia c'era una forte tradizione del fumetto d'autore e non comprendo come si sia spenta. Ora fortunatamente case editrici alternative che stanno portando avanti uno stile di fumetto diverso. Ma penso che per cambiare le cose sia necessario l'appoggio del mondo culturale».

Arriviamo a Tina Modotti: un'emigrante italiana che frequenta artisti, intellettuali e rivoluzionari, innovatrice nella fotografia e poi agente per Soccorso rosso negli scenari più caldi d'Europa e America. In sintesi una donna simbolo del ventesimo secolo, un personaggio che nei primi decenni del '900 è stata in tutti i posti dove è successo qualcosa.
«Sì Tina è vissuta nelle città più importanti del tempo: era partita dall'Italia come povera emigrante per arrivare negli Stati Uniti. A San Francisco e Los Angeles entrò in contatto con gli ambienti del cinema e fu protagonista di tre film, nel Messico post rivoluzionario è stata modella per i murales di Diego Rivera, a Berlino arrivò durante la repubblica di Weimar prima dell'avvento dei nazisti e a Mosca giunse durante la fase più acuta dello stalinismo. A Parigi era la responsabile di Soccorso rosso e durante la guerra civile in Spagna era a Madrid per organizzare la fuga dei bambini dalle città bombardate. Conobbe le personalità artistiche e politiche più in vista del tempo. Parlando di lei si può raccontare la cultura e la società dell'inizio del ventesimo secolo».

Leggendo il suo libro è quasi come se tutti questi personaggi: scrittori, registi, pittori e rivoluzionari fossero legati da un filo sottile, quello di Tina Modotti.
«Tina aveva un fascino speciale: arriva dall'Italia a 13 anni e sa appena leggere e scrivere, ma era molto bella e così dal lavoro in fabbrica passa a quello di modella per la confezione di abiti. E poi frequenta l'ambiente teatrale dove viene notata e da lì arriva al cinema. Ma è evidente che anche il suo interesse per la cultura e l'arte sono stati determinanti: leggeva Joyce e Nietzche. Senza il suo fascino e la sua curiosità intellettuale non sarebbe riuscita a diventare modella e allieva di Edward Weston, uno dei padri della fotografia negli Stati Uniti».

Una donna speciale, ma anche una personalità difficile da afferrare. «L'aspetto più importante di Tina Modotti è che era una artista autentica che aveva nella fotografia il suo mezzo per esprimersi. Inspiegabilmente negli ultimi dieci anni di vita non toccò una macchina fotografica. Si può dire che Tina sia stata una stalinista vittima dello stalinismo. Infatti quando venne espulsa dal Messico e arrivò a Mosca c'era un gran fermento, ma lei non trovò una collocazione come fotografa».

«Il suo modo di fare fotografia era lontano dalla propaganda di regime, lei era una fotoreporter. La celebrazione del realismo stalinista non le apparteneva. Quando è tornata in Messico, dopo la guerra civile spagnola e decine di missioni pericolose, non riprese in mano la macchina fotografica. Penso che non potè reinventarsi come artista. Un artista vero non si copia, ma crea continuamente ed evolve. Così lei avrebbe dovuto fare un altro tipo di fotografia, ma non ne ebbe il tempo e la forza».

Una storia piena di luci e ombre quella di Tina Modotti, anche perché le fonti sono controverse. Anche la sua morte improvvisa per un malore resta avvolta da un alone di mistero.
«Certo una donna che muore a 40 anni di attacco cardiaco è un fatto strano. E da qui sono nate diverse teorie del complotto. Ma io non ci credo particolarmente: la Modotti fumava continuamente, non curava la sua alimentazione, aveva sempre alle calcagna la polizia politica e ha compiuto missioni ad alto rischio: un errore le sarebbe costato la vita. Un grande stress che l'ha indebolita, l'ha consumata».

«Non credo nel complotto perché lei non era una figura politicamente in vista, era una militante. Era una personalità molto sfaccettata, un carattere che sfuggiva sempre. Sono convinto che l'esperienza che più segnò la sua vita fu la prima giovinezza: la miseria vissuta in Italia, il padre socialista, il lavoro in fabbrica. Quando scriveva dello sfruttamento sapeva di cosa parlava perché l'aveva vissuto sulla sua pelle e quelle esperienze a 13 anni la segnarono per sempre, guidando i suoi passi attraverso l'arte e la politica militante».
 Gianlorenzo Barollo

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