Christian Ryder, un disco
contro i filtri della Storia

La canzone impegnata è davvero morta? Non proprio, se pensiamo a certo rap che esprime la rabbia giovanile del nostro tempo. Poi c’è chi si eleva oltre l’attualità e la quotidianità e interroga la Storia con la S maiuscola. La interroga e la rimprovera perché ritiene che la società in cui nuotiamo oggi sia il risultato sbagliato di una sorta di manipolazione della verità trasmessa ed elaborata di generazione in generazione. Il risultato di una prepotenza. Perché la Storia è scritta dai vincitori, sentenziò Napoleone, poi citato e ricitato dai posteri.

È il concetto (e il titolo di una canzone) che ha ispirato il nuovo album di Christian Ryder, all’anagrafe Bellini, 32 anni, tastierista e chitarrista di Fino del Monte, romantico e provocatore per scelta artistica, come il genere musicale con cui è cresciuto e che pratica con convinzione senza porsi il problema che possa non piacere a tutti. Lui si accorda sempre alla propria coscienza.

E allora musica elletrowave, industriale e synth-pop come quella degli anni Ottanta («che accompagnava testi forti ed esasperati per svegliare le coscienze»), stile Depeche Mode, New Order, Kraftwerk, Ultravox. Aggiunta alla sua voce ha partorito «Jedem Das Seine», «massima tedesca che deriva dalla locuzione latina suum cuique, a ciascuno il suo».

Perché ciascuno ha quello che si merita, sottolinea Ryder. «La mia è una denuncia delle pesanti responsabilità del sistema mediatico, dei filtri che condizionano e segnano la nostra vita, non permettendoci di pensare veramente con la nostra testa. Mi considero un osservatore e non sopporto l’omologazione del sistema. La mia musica nasce da una necessità interiore, attraverso la musica esprimo il mio dissenso».

Bellini si intende di comunicazione perché, oltre a suonare, si guadagna il pane facendo il consulente di redazione a «Striscia la notizia» (in passato ha lavorato anche per Paperissima). Il sorriso del suo mestiere non gli ha impedito di maturare uno spietato senso critico. Vi chiederete perché il titolo del disco è in tedesco (e i testi in inglese). C’è, seppure non apertamente, una ragione commerciale: il cd punta soprattutto (e per ora con successo, pur trattandosi di un prodotto di nicchia) al mercato del Nord Europa, Germania in testa. In Italia, ammette Ryder, la risposta era sempre freddina.

Ma il motivo è soprattutto legato ai contenuti. «Jedem Das Seine era lo slogan all’ingresso del campo di concentramento di Buchenwald». L’Olocausto («sappiamo proprio tutto?») e il lato umano dei vinti (nella poetica Adolf Hitler Platz, dove il fantasma di un soldato tedesco ucciso in guerra cerca di tornare per cercare la donna amata ma trova ormai solo macerie), il revisionismo storico («che non è rinnegare ma indagare la completezza della verità», osserva Christian, ma, tiene a precisare, «non fraintendete dandomi del nazista perché prendereste un abbaglio») e la solitudine dell’uomo (Floating by the Immeasurable Nothing, The Time-Music of Quasars e No Other Forms of Life), l’omologazione di cui si diceva e il presagio di un futuro cupo dell’Europa sono i temi (forse troppo grandi e delicati per rimbombare nelle casse di un sintetizzatore, ma Ryder è coraggioso) di questo disco ben suonato.

Da una persona sola: lui stesso (le bad blondes inchitarrate che compaiono nel video di Adolf Hitler Platz «sono meramente decorative, per uno scopo scenografico», mentre non lo è Lisa P. Duse, ospite e voce femminile della canzone), che festeggia così i dieci anni di TourdeForce, la band che in precedenza aveva visto avvicendarsi anche altri musicisti al suo fianco.

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