La truffa è servita in tavola
Difendersi si può, così

Per rispondere alla crescente domanda di sicurezza in un mercato sempre più ampio, a partire dagli anni Novanta, dopo gli scandali alimentari che hanno provocato anche vittime in Europa – mucca pazza, vino all’etanolo, pollo alla diossina, tanto per rinfrescare la memoria- si è imposto un sistema di controlli e di certificazioni a cui le aziende si sottopongono volontariamente per potere consegnare al cliente una prova oggettiva della loro onestà e qualità. Ecco come funziona.

C’era una volta il contadino che ci riforniva di carne, verdura, del “suo” olio e del “suo” vino: i suoi prodotti crescevano nei campi dietro la fattoria, sapevi con cosa nutriva le sue galline, quando vendemmiava e come raccoglieva le olive. Al consumatore moderno che ha perso il contatto con il produttore e ha giusto il tempo di passare al supermercato per fare la spesa non resta che sperare di mangiare cibo preparato con ingredienti di qualità e modalità corrette, in condizioni igieniche buone, e magari nel rispetto dell’ambiente. Impossibile controllare di persona, ma l’esigenza di potersi fidare resta.

Per rispondere alla crescente domanda di sicurezza in un mercato sempre più ampio, a partire dagli anni Novanta, dopo gli scandali alimentari che hanno provocato anche vittime in Europa – mucca pazza, vino all’etanolo, pollo alla diossina, tanto per rinfrescare la memoria- si è imposto un sistema di controlli e di certificazioni a cui le aziende si sottopongono volontariamente per potere consegnare al cliente una prova oggettiva della loro onestà e qualità.

Salvaguardia della qualità

Sempre più produttori, fornitori di materie prime e distributori chiedono a enti “terzi” accreditati di certificare i loro prodotti, beni o servizi, secondo criteri e requisiti legislativi conformi a standard normati a livello internazionale dall’Iso, l’Organizzazione Internazionale della Standardizzazione, che dal 1947 si occupa di rendere universali le norme tecniche più comuni, dalle unità di misura alle etichette di sicurezza. A loro volta gli enti di certificazione devono essere accreditati da Accredia, l’ Ente italiano di accreditamento (l’unico organismo nazionale autorizzato dallo Stato) e vengono sottoposti al controllo del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del ministero delle Politiche agricole.

Per il settore alimentare esistono due tipi di certificazioni della qualità del prodotto e della sicurezza del sistema. Inizialmente riservati ai vini, dal ’92 le certificazioni di qualità sono state estese a salumi, formaggi e prodotti della terra con determinate caratteristiche locali da salvaguardare. Sono nate le sigle Doc (Denominazione origine controllata), Dop (Denominazione di origine protetta), Igp (Indicazione geografica protetta), Stg (Specialità tradizionale garantita) che compaiono sulle etichette e che il consumatore ha imparato presto a riconoscere, per ritrovare le qualità nutritive e organolettiche riferite al prodotto certificato.

La produzione sotto esame

A queste si sono aggiunte le certificazione “bio” che comprovano l’adesione ai parametri relativi all’agricoltura biologica.

Meno conosciute, ma in espansione, le certificazioni di sistema riguardano la sicurezza e la salubrità del processo produttivo degli alimenti durante l’intera filiera, dalle materie prime alla distribuzione. Non compaiono spesso sulle etichette, ma le aziende le richiedono e le esibiscono ai partner commerciali come garanzia di serietà e affidabilità. «Chi si affida alla certificazione mostra di tenere all’immagine della propria azienda», sottolineano alla Siad che ha voluto certificare anche la produzione di anidride carbonica per uso alimentare con gli standard FSSC22000 e Iso 22000 per assicurare la qualità del gas disciolto nell’acqua e nelle bevande. Un’attenzione in più verso partner e consumatori che non incide particolarmente sui costi e può evitare qualche scandalo: «I controlli sono molto stringenti, -commenta la dottoressa Isabella D’Adda, Food safety manager della Certiquality - ma vanno a lotti di prodotto e si svolgono una volta all’anno: purtroppo contro la malafede non c’è certificazione che tenga, ma truffare diventa molto più difficile».

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