Licenziata per calo di lavoro?
La Corte d'Appello: va riassunta

Si conclude così una delle cause pilota che la Cgil di Bergamo aveva avviato qualche anno fa per sollevare il velo sotto cui si celano cooperative «fittizie» e per puntare il dito contro il trattamento riservato dal mondo di certe coop ai soci lavoratori con contratto a tempo indeterminato.

Per lei la sentenza di primo grado del giugno 2010 prevedeva circa 4mila euro a titolo di risarcimento per differenze retributive e alcune retribuzioni che secondo il Giudice del Tribunale di Bergamo le spettavano: non pienamente soddisfatto, l'Ufficio Vertenze Cgil di Bergamo che sosteneva la lavoratrice ha deciso con lei di ricorrere alla Corte d'Appello di Brescia (Sezione Lavoro).

Ora - scrive la Cgil -, con una sentenza del 26 gennaio (le cui motivazioni, però, sono arrivate la scorsa settimana) I. N., cittadina nigeriana di 36 anni, ha visto sancito il diritto a riottenere il proprio posto di lavoro e ad avere “tutte le retribuzioni maturate dall'aprile del 2008 fino all'effettiva reintegrazione” (che ancora non è avvenuta).

Si tratta della felice conclusione di una delle cause pilota che la Cgil di Bergamo aveva avviato qualche anno fa per sollevare il velo sotto cui si celano cooperative "fittizie", e per cominciare a puntare il dito contro il trattamento riservato dal mondo di certe coop ai soci lavoratori con contratto a tempo indeterminato spesso, di fatto, però veri e propri precari.

I. N. lavorava per conto della Coopolis Società Cooperativa con sede legale a Milano presso la Corozite di San Paolo d'Argon: la lavoratrice che ha presentato ricorso assistita dall'Ufficio Vertenze Cgil, dopo essere diventata socia dal giugno 2007, era stata lasciata senza occupazione nel febbraio del 2008 con la motivazione di un presunto calo di lavoro.

“Proprio perché una parte del mondo del lavoro si muove su questo scenario in cui molti diritti non sono garantiti, riteniamo di grande soddisfazione l'esito di questa vicenda” ha detto oggi Carmelo Ilardo, responsabile dell'Ufficio Vertenze della Cgil di Bergamo. “La Corte d'Appello con questa sentenza ha sancito non solo che non si può lasciare a casa un socio-lavoratore di una cooperativa se non sussiste un giustificato motivo oggettivo (al pari di tutti gli altri lavoratori subordinati) ma che le prassi che si devono seguire per interrompere il rapporto di lavoro devono essere uguali a quelle adoperate per gli altri dipendenti e, quindi, è illegittima l'interruzione del rapporto con un semplice invito verbale a non ripresentarsi al lavoro. Ai fini di un recesso dal contratto, nelle cooperative, debbono essere applicate le norme sui licenziamenti, le norme sul procedimento disciplinare (in caso di licenziamento per giusta causa) e quelle sul giustificato motivo oggettivo, in caso di riduzione del personale per carenza di lavoro. Nel caso in questione, poi, mancando del tutto un atto di licenziamento, si è preso atto anche della nullità del licenziamento intimato oralmente con il conseguente ripristino del rapporto di lavoro. Inoltre, è stato sancito il diritto alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate sino alla riammissione al lavoro”.

Fra i “motivi della decisione" della sentenza, infatti, si legge che: “Risulta incontestato in atti che la ricorrente era, ed è tutt'ora, socia della cooperativa (…), diminuito il lavoro presso la Corozite nel febbraio 2008 le veniva detto, in via breve, di non ripresentarsi al lavoro, senza alcun provvedimento formale e senza nessuna esclusione dalla compagine sociale. (…) non potrà che prendere atto della nullità del licenziamento intimato oralmente con il conseguente ripristino del rapporto, senza necessità di messa in mora, …”.

“Le cooperative di comodo” conclude Ilardo, “ora dovranno tenere conto di queste sentenze e la Cgil ne farà sicuramente patrimonio per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori ogni qualvolta si ravvisino situazioni analoghe”.

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