Bergamo, il tessile in sciopero
«Serve un contratto dignitoso»

Venerdì 18 novembre, 8 ore di astensione e manifestazione a Milano. In provincia ci sono 400 aziende con 12.000 addetti. Erano 20.000 dieci anni fa.

Mobilitati per il rinnovo del Contratto nazionale collettivo del settore tessile e abbigliamento e contro la destrutturazione del modello contrattuale: i sindacati Femca Cisl, Filctem Cgil, Uiltec Uil confermano lo sciopero nazionale che per la Lombardia sarà venerdì 18 novembre a sostegno della riapertura del tavolo delle trattative per il rinnovo contrattuale con Smi-Confindustria, bruscamente interrotto il 20 ottobre. Il precedente contratto era scaduto il 31 marzo.

Anche a Bergamo, i circa 12mila lavoratori delle 400 aziende del settore si preparano alla mobilitazione di 8 ore e alla manifestazione regionale che si terrà davanti alla sede SMI– Confindustria di viale Sarca a Milano (a partire dalle ore 10). Gli autobus diretti nel capoluogo lombardo partiranno da Albino alle ore 8.30 (parcheggio Teb) e da Bergamo alle ore 9 (dal parcheggio Coop di via Autostrada).

«L’obiettivo della protesta è quello di riaprire al più presto il tavolo delle trattative per rinnovare il contratto e sostenere il reddito dei lavoratori – commentano i tre segretari provinciali Raffaele Salvatoni di Femca Cisl, Pietro Allieri di Filctem Cgil e Marco Zonca di Uiltec Uil di Bergamo. La questione che ha fatto saltare il tavolo è quella relativa agli incrementi salariali che la controparte non intende contrattare, proponendo una verifica dell’inflazione ‘ex post’, ovvero al termine di ogni anno, invece di anticiparla nell’aumento in busta paga come prevede l’attuale modello contrattuale. Una richiesta incomprensibile che riteniamo inaccettabile anche perché a farne le spese sarebbero 420 mila lavoratori (per il 90% donne) che hanno i salari più bassi del Paese. Insomma, si tenta di adottare un modello contrattuale che definisca ex post i minimi e non dia all’atto della sottoscrizione nessuna certezza sugli aumenti. Contemporaneamente si vogliono tagliare diritti ai lavoratori anche cancellando il secondo livello di contrattazione con la giustificazione di voler essere più competitivi a livello internazionale».

I dati degli ultimi 5 anni evidenziano come il settore tessile-abbigliamento abbia perso circa 100 mila posti di lavoro in tutt’Italia, mentre il fatturato è rimasto stabile, anzi in lieve crescita, intorno ai 54 miliardi. «Una ricchezza che cresce, anche se poco, ma non viene distribuita» spiegano i sindacati. Secondo l’analisi della Camera di Commercio di Bergamo, in provincia, la performance dell’industria tessile nell’ultimo trimestre conferma il buon andamento dei periodi precedenti, segnando un +4,3% nella produzione, ma nello stesso periodo, gli addetti nelle imprese sono calati dello 0,8. Nell’arco di dieci anni, colpiti da una delle più feroci crisi del settore, il numero degli addetti in provincia è passato da 20.000 a 12.000.

Il sindacato è preoccupato anche perché «le richieste normative presentate dalla controparte sono incentrate anche a ridimensionare il ruolo negoziale dei sindacati territoriali e delle Rsu. Eppure, il settore del tessile-abbigliamento non è povero, anzi, nella classifica dei primi 50 gruppi aziendali con i più grandi fatturati, una buona fetta è occupata proprio da aziende del settore. L’augurio - concludono i segretari territoriali - è che soprattutto i grandi gruppi riescano a distinguersi, come ad esempio ha fatto La Perla, passata da Smi-Confindustria a Confapi, mentre altre aziende stanno proponendo ai sindacati di anticipare gli aumenti salariali in attesa del rinnovo contrattuale. Insomma è auspicabile tornare al tavolo delle trattative al più presto. Siamo disponibili, ma per il momento nessuna data di incontro è stata definita».

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