«La cultura del lavoro bergamasca
aiuta Tenaris a vincere nel mondo»

Paolo Rocca si racconta. Toccare con mano un’idea. Ci hanno provato in tanti, ci sono riusciti in pochi. Di sicuro Indro Montanelli quando entrò alla Techint di Buenos Aires negli anni Cinquanta e scrisse che «già contava migliaia di operai animati dal patriottismo aziendale che Agostino Rocca aveva sempre suscitato dovunque avesse piantato bandiera».

Patriottismo aziendale, fotografia perfetta di un Cartier Bresson della parola. Una formula vincente che ti segue come un’ombra mentre percorri i vialetti della Tenaris a Dalmine come i corridoi della Siderca a Campana sul Rio Paraná. «Patriottismo aziendale», il senso di una coesione che arriva da lontano e non si allenta mai. D’acciaio come i tubi che affrontano le profondità della terra e del mare alla ricerca di energia. E tutto questo avviene perché quei vialetti e quei corridoi conducono nello stesso luogo, la scrivania di Paolo Rocca. Definito da Business Week, unico italiano, uno dei migliori 25 imprenditori del mondo (in classifica con Zuckerberg, Bezos e Bill Gates), è l’uomo sulla tolda. Colui che indica a 27.000 dipendenti la strada da percorrere per far sì che Tenaris rimanga leader mondiale nei tubi e nei servizi per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio e gas.

Tutto ciò davanti a colossi tedeschi, francesi, americani; di questi tempi per il nostro Paese è come vincere un mondiale di calcio. Paolo Rocca ha 62 anni e chi lo conosce gli attribuisce una qualità decisiva. Certe persone sono termometri, altre termostati. Le prime registrano la temperatura in una stanza, le seconde la cambiano.

Come vede il mondo in ebollizione dalla tolda di Tenaris?

«Si osserva meglio il mondo osservando noi stessi. Siamo usciti da un periodo molto impegnativo e di grandi trasformazioni. Reggere la crisi mondiale con le rigidità del 2008 sarebbe stata un’impresa. Oggi sono contento di come abbiamo superato la tempesta globale introducendo elementi di flessibilità. Ciò che produciamo qui va al 90% al grande mondo dell’energia come accessori oil tools, strumenti per il petrolio, bracci e piattaforme per perforazioni».

Quali sono gli elementi più positivi di questa trasformazione?

«Sono orgoglioso dello sforzo operato dal team soprattutto su tre fronti. Abbiamo mantenuto l’occupazione e la competitività; abbiamo realizzato investimenti sistematici per 60 milioni l’anno; abbiamo formato una generazione di giovani tecnici e manager, componente fondamentale per Tenaris. E questa, da italiano, è la prova di cui sono più contento. Dovrei dire da bergamasco perché in una riunione stamane mi hanno mostrato che dei 43 manager italiani del gruppo che lavorano all’estero 14 sono bergamaschi. La cosa mi ha divertito, questo è orgoglio del territorio. Anche se devo aggiungere che il responsabile di tutta la pianificazione volumi, che sta in Uruguay, è di Brescia».

Qual è il ruolo di Dalmine su questo scacchiere mondiale?

«Qui abbiamo il centro ricerca per tutti i processi. E soprattutto la cultura industriale profonda che arriva dalle origini. Perché qui e perché dura tanto? Perché si respira nella vita di tutti i giorni, in famiglia. La capacità industriale del fare che prende vita da qui si traduce in un valore enorme, che utilizziamo per attirare e formare le persone che lavorano in tutti i Paesi del mondo».

Cos’hanno di particolare i lavoratori bergamaschi?

«Era postmoderna. Immaginiamoci una società di consumatori che si ciba di cultura e informazione, mentre un gruppo ristretto di persone fa funzionare i motori della nave. I bergamaschi appartengono al motore, loro vogliono e sanno lavorare sul motore. E la nostra industria ne ha bisogno ancor più oggi perché l’energia è il motore della nave».

Davanti a tutti noi c’è un mondo che cambia con rapidità formidabile e che molti definiscono liquido. Come si pone un’azienda che fa della solidità un valore?

«Noi non dobbiamo inventare Facebook. Noi dobbiamo innovare permanentemente per stare all’avanguardia, e la trasmissione di cultura è fondamentale. Dal 2008 ad oggi le preoccupazioni che avevamo riguardavano i costi, la nicchia di prodotto e la concorrenza. Oggi lavoriamo con serenità perché abbiamo affrontato la modernizzazione delle risorse umane e la formazione in tutto il mondo.Qui abbiamo assunto 280 persone alle quali offriamo lavoro anche direttamente all’estero. Nell’ultimo concorso cercavamo dieci ingegneri e sono arrivate 1.400 domande.È un dramma per l’Italia. Ragazzi dal Politecnico di Torino, Milano, Genova, Trento. La richiesta è un impiego all’estero, noi dobbiamo andare dove ci sono i clienti. In Kazakistan, in Nigeria, in Angola, in Mozambico quando l’Eni svilupperà le sue attività».

La crisi è stata utilizzata come un’opportunità?

«Attraverso sviluppo di prodotto, penetrazione commerciale ed espansione mondiale siamo riusciti a trovare uno spazio competitivo nel settore dell’energia che altri settori industriali non hanno trovato perché dipendono dal mercato interno. Noi nell’Oil Service abbiamo sfruttato spazi decisivi di crescita. Dipendiamo molto dagli investimenti che tutte le società nazionali e internazionali realizzano nelle perforazioni e nello sviluppo del settore dell’energia. E questo dipende dalla domanda mondiale, dal livello dei prezzi. In questi mesi abbiamo assistito a una caduta importante del prezzo del petrolio, ma se si guarda a medio termine si vede una crescita inevitabile».

La locomotiva resta la Cina.

«Anche lì, l’aumento del reddito e dei consumi determineranno una richiesta crescente di energia. La domanda di acciaio può rimanere stabile o contrarsi in Europa, non nei Paesi emergenti. Ora è a questi livelli: da 0,6 o 1%. La Cina stessa sta cambiando modello di sviluppo, è passata da un Pil più 12% a più 7,9%, meno ma continua a crescere. Oltre a ciò vedo la rivoluzione degli scisti bituminosi dai quali si ottiene il petrolio. Negli Stati Uniti è qualcosa che sta cambiando radicalmente il panorama. Oggi il Nordamerica può contare su un vantaggio competitivo: il gas che in Europa costa 9 dollari, laggiù costa 3,8. Gli Stati Uniti negli ultimi cinque anni hanno aumentato la produzione di 4 milioni di barili di petrolio al giorno. Era impensabile. Sono passati da 8 a 12 milioni in un mercato mondiale di 92. Questo contribuisce alla riduzione del prezzo. Così gli scisti negli Usa cambiano il panorama dell’energia nel mondo. E questo è importante per noi perché l’esplorazione del gas richiede moltissimi tubi in più di quanti non ne richiedano le esplorazioni offshore. Il nostro mercato americano è per metà determinato dalle perforazioni in queste aree, e sei anni fa era zero. Dobbiamo continuare a sviluppare tecnologie e prodotti specifici nei quali siamo leader. Ma aree di sviluppo sono anche il Messico, l’Argentina e l’Africa».

La vecchia Europa segna il passo. Stanca di duemila anni di leadership?

«L’Europa è un insieme di Paesi con culture diverse e con capacità diverse di reagire. La politica monetaria marca limiti importanti. Il tema secondo me più urgente è la disoccupazione giovanile, in Italia al 41%. La domanda è come riprendere i consumi e gli investimenti privati. Noi possiamo dare un contributo facendo bene il nostro mestiere, avere una dimensione di eccellenza mondiale e continuare a creare opportunità. Oggi noi abbiamo fornitori proiettati verso il mondo. Parte degli impianti in Colombia e Argentina vengono realizzati in Italia. E i fornitori italiani per gli sviluppi fatti con la Dalmine sono diventati super-competitivi».

La Dalmine è in Italia, con tutti i problemi che questo comporta per burocrazia, complicazioni legislative e deficit di competitività.

«Qui aiuta la Bergamasca. Bergamo, Costa Volpino, ma anche Arcore e Piombino, dove sono gli impianti. Abbiamo costruito nel tempo un senso di fiducia. C’è sempre un dialogo costruttivo con i sindacati e con le istituzioni che ci permette di contenere i costi dell’energia e di fare investimenti importanti sull’ambiente».

Come giudica il governo Renzi e questa necessità imprescindibile di concretizzare riforme strutturali?

«Trovo importante l’aver messo in agenda i temi chiave per rilanciare il Paese. Renzi ha avuto la forza di farlo senza che sia arrivato un rifiuto radicale e questo dimostra un carisma notevole della persona. Ora bisogna passare da temi tabù ad azioni concrete che cambino la realtà e le regole del gioco. Per farlo serve la costruzione del consenso. Una sfida in corso».

Nata dal sogno di Agostino Rocca, Tenaris è un modo di essere, è patriottismo aziendale. Come si trasmettono i valori in una realtà planetaria?

«Dobbiamo crescere mantenendo i valori nella diversità. Confermare integrità, trasparenza, coinvolgimento delle comunità dove siamo, e applicare tutto ciò su una scala grande, gestendo le diversità delle culture. L’Indonesia, faccio un esempio, non è la Bergamasca e ha problematiche educative e sociali ben diverse. I punti sono tre. Il primo: l’identità di un’azienda globale dipende dalla solidità delle sue regole. Il secondo punto è il cambio generazionale, dobbiamo utilizzare strumenti per riaffermare oggi valori antichi in Paesi con modelli di riferimento diversi dai nostri. Il terzo è la digitalizzazione: come immaginiamo l’azienda fra dieci anni».

La digitalizzazione è la grande frontiera del mondo. Come la applicherete?

«Per noi va dall’automazione dei processi produttivi alla interpretazione dei dati nell’uso dei tubi nei campi. Oggi in un pozzo del Mare del Nord sorvegliamo come vengono chiusi i manicotti attraverso la trasmissione di dati analizzati a terra. L’automazione porta innovazione, ci aggancia a un mondo molto interessante, lo vediamo anche nella comunicazione. Oggi le reti sociali ci circondano, sono un luogo dove un’azienda è sotto giudizio permanente. Se sorge un problema ambientale in uno dei siti la prima regola è avvertire i nostri social - ai quali sono agganciati 27.000 dipendenti - che abbiamo avuto il problema, qual è la causa e cosa faremo per rimediare. Per essere credibili serve trasparenza».

Qual è l’aspirazione aziendale nei confronti dei dipendenti nell’era digitale?

«Sembrerà banale, ma l’aspirazione è che chiunque venga a lavorare in Tenaris sia contento di farlo. Sia che esca alle 6,30 di mattina da un paese della Bergamasca vicino a Dalmine o dalla sua casa di Veracruz o Bay City. Guardare alla qualità del lavoro è fondamentale e la digitalizzazione ci può aiutare in modo decisivo».

Cosa direbbe a un ragazzo italiano che sta per laurearsi?

«Gli direi di provare a realizzare i suoi sogni in una dimensione più grande, al di là dell’Europa stessa. Gli direi di crescere, acquisire eccellenze e capacità fuori dal Paese. Per poi rientrare e contribuire a una trasformazione del tessuto produttivo italiano, nel quale io continuo ad avere una grande fiducia».

Cosa può continuare a fare Tenaris Dalmine per il territorio?

«Continuare a porci la domanda: dove possiamo crescere e far crescere? La ricerca sul processo? Prendiamo ricercatori qui. Investimenti per un prodotto migliore? Facciamoli qui. Questa dimensione dobbiamo averla anche in Italia per una sempre maggiore competitività».

Agostino Rocca traeva serenità leggendo Seneca, Virgilio e talvolta ascoltando Mozart in una stanza buia. Paolo Rocca dove riesce ad essere in armonia con se stesso oltre i luoghi cardine di famiglia e lavoro?

«In montagna. Cammino e recupero serenità , vado con gli sci o a piedi. In due luoghi soprattutto, al rifugio Marco e Rosa sul Bernina e sul Cerro Tronador in Patagonia. Metto un pezzo di formaggio nello zaino, cammino e sono felice».

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