Aborto, ideologia
in ospedale

Un bando per «due unità di personale per il reparto Ostetricia e Ginecologia da destinare al settore Day Hospital e Day Surgey» dell’Ospedale San Camillo di Roma; nell’oggetto del bando è specificata la funzione che dovranno assolvere i nuovi due dirigenti medici: praticare interruzioni di gravidanza. Per la prima volta in Italia, è stato indetto un concorso per assumere medici «non obiettori». Secondo lo stesso ministro della Sanità Beatrice Lorenzin siamo di fronte ad una selezione «non prevista dalla legge», che invece «rispetta l’obiezione di coscienza». Cioè siamo di fronte ad una violazione di una libertà prevista dalla Legge 194. Del resto lo stesso ministro nella sua relazione annuale il 4 maggio dello scorso anno aveva escluso la possibilità di inserire tra i requisiti di un’assunzione quelle di essere non obiettore, in quanto «discriminatoria». Oltretutto il San Camillo, per quanto abbia l’80 per cento di medici obiettori, è comunque l’ospedale di Roma e del Lazio con il numero maggiore di interruzioni di gravidanze, con circa 2.400 aborti ogni anno (1.600 con intervento chirurgico, 800 con terapia farmacologica).

Insomma, c’è più di un sospetto che il concorso autorizzato dalla Regione Lazio sia viziato da un pesante e anche gratuito condizionamento ideologico. I dati nazionali ci dicono che gli aborti sono vistosamente calati negli ultimi anni. Nel 2015 sono scesi per la prima volta sotto i 90mila con un meno 9,3 per cento sul 2014, che a sua volta aveva registrato un meno 6 per cento sull’anno precedente. Per avere un termine di raffronto, basti considerare che nel 1983 le interruzioni di gravidanza erano state ben 230 mila. Il calo è spiegabile con il boom della pillola del giorno dopo, che da aprile 2015 è possibile comperare senza l’obbligo di prescrizione medica (per le donne maggiorenni): tra 2014 e 2015 la vendita di Ulipristal acetato è infatti schizzato da 17 mila confezioni a oltre 83 mila. Insomma, siamo di fronte ad un contesto e ad un trend che non legittimano in nessun modo una decisione come quella presa dalla Regione Lazio per il San Camillo.

C’è poi la tanto sbandierata questione dei medici obiettori, i cui numeri sarebbero tali da impedire in molti casi la possibilità di vedere applicata la legge 194. In realtà le cose non stanno esattamente così: secondo quanto reso noto dal Ministero i medici che si rifiutano di praticare l’interruzione di gravidanza negli ospedali italiani sono il 70,7 per cento del totale. Inoltre i «punti Ivg» sono al 74 per cento rispetto ai punti nascita, con situazioni di criticità solo in Campania, Molise e nella provincia di Bolzano. Non si può neanche parlare di problemi di superlavoro per i medici non obiettori, visto che ai numeri attuali la media è di 1,6 aborti a settimana per ciascuno di loro.

Ma nel bando del San Camillo c’è un punto estremamente indicativo, chiarito ieri dal direttore Fabrizio d’Alba interpellato dall’agenzia Adnkronos. «È sempre possibile che, nel tempo, il medico cambi idea», ha detto. «Noi abbiamo cercato di contrastare questo problema a monte: chi partecipa a questo tipo di procedura dedicata ha già affrontato questo dilemma con se stesso e ha fatto una scelta». Vale a dire: è stata messa una clausola del possibile licenziamento nei primi sei mesi (e messa in mobilità dopo i sei mesi) se il medico assunto con il bando venisse preso da «dilemmi con se stesso», cioè crisi di coscienza.

È un’ammissione molto indicativa, perché dà inconsapevolmente conto di un dato di realtà: il fatto che praticare l’aborto per un medico è psicologicamente molto più logorante di quanto non si voglia far credere. Il numero degli obiettori di coscienza non è quindi spiegabile per una posizione aprioristica di tanti, per altro assolutamente asimmetrica rispetto alle percentuali di popolazioni che si dichiara favorevole all’aborto. Quel numero è con molta più verosimiglianza spiegabile con l’insopportabilità, alla lunga, dal punto di vista esperienziale e umano, di questa pratica. Perché, quando c’è la vita di mezzo, la realtà alla fine è inevitabilmente più forte di ogni professione ideologica.

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