Bergamo anti-slot
un atto di coraggio

Qualcuno vince, tutti gli altri perdono. Come dice Crozza: «Millenni di evoluzione della razza umana per vedere tre prugne stare sulla stessa linea». Riso amaro e una considerazione: in questo momento centinaia di uomini, donne e ragazzi stanno perdendo davanti a una slot machine o ipnotizzati da un videopoker.

Si giocano lo stipendio, i soldi per la bolletta della luce, qualche volta i sogni dentro locali dove non è mai buio e non è mai giorno, in un’eterna sospensione al neon dell’esistenza. Davanti a tutto questo Bergamo ha detto basta. Con un atto di coraggio l’amministrazione Gori ha deciso di fermare la roulette con numeri da paura: 1,8 miliardi di spesa dei bergamaschi per il gioco d’azzardo solo nel 2015; 4.000 euro a famiglia, 1.637 euro a persona, neonati compresi. Tutto questo con 6722 apparecchi per videopoker disseminati per la provincia, uno ogni 165 abitanti. E non è finita. Otto milioni di giocatori abituali solo in Italia, quasi uno dei quali a rischio ludopatia, vale a dire dipendenza. In tutto il mondo ci sono 160 mila videolottery, 50 mila solo nel nostro Paese. Lo Stato biscazziere intasca 9 miliardi di euro l’anno con una mano e ne investe 2 con l’altra per lavarsi la coscienza nel sostenere i centri d’assistenza per smettere.

Ecco, con il regolamento pilota che ha sorpassato in tromba Governo e Parlamento, leggi più o meno in dirittura di arrivo o solo ai nastri di partenza, Bergamo ha messo un punto fermo che va condiviso e sostenuto. Una società sana, con una percezione valoriale di sé e del proprio compito, non può aggrapparsi al gioco d’azzardo. Non può pensare che il futuro sia dentro una slot machine o sia appeso alle labbra di una signorina che insinua in Tv: «Il gioco è riservato ai maggiorenni e crea dipendenza psicologica. Gioca senza esagerare». Senza esagerare, come se stessimo parlando di uno sciroppo per la tosse.

Il blitz per spegnere le macchinette mangiasoldi a Bergamo conferma una sensazione palpabile: finora le istituzioni più attente nei confronti dei cittadini e interessate alla loro serenità psicologica ed economica sono quelle comunali. Insomma i sindaci, spesso lasciati soli in tentativi volenterosi e poco coordinati di arginare l’onda di piena dell’azzardo. In Comune sono sicuri di avere scritto «un regolamento inattaccabile», ma è certo che arriveranno i ricorsi; la polemica è già entrata in circolo. «Su certe materie deve legiferare lo Stato, non i Comuni», è l’obiezione più diffusa. Questo perché oltre al divieto per slot e videopoker in alcune fasce orarie, c’è quello sorprendente per scommesse sportive e «gratta e vinci». Sembra un’esagerazione, ma da parte dell’amministrazione c’è la volontà di salvaguardare l’individuo dal gioco più pericoloso, quello solitario, compulsivo, che conduce naturalmente sull’orlo della dipendenza. Un «gratta e vinci» in libertà che male fa? Non lo sappiamo, non è nell’elenco dei nostri vizi.

Il problema vero sono le slot machines che se ne stanno tranquille all’angolo dei bar in attesa del pollo di turno. E che non attirano soltanto gli adulti - come si suol dire - maggiorenni e vaccinati, ma anche i ragazzini. I quali già sanno tutto perché hanno acquistato smartphone di aziende che passano le giornate a pubblicizzare le loro virtù, ma non hanno remore nel vendere i telefonini con già incorporate le applicazioni per giocare. Bergamo ha dato una spallata, ha fatto sapere di voler vivere senza azzardo. Un segno di civiltà. Un gesto di rispetto per cittadini che non meritano di entrare nella categoria degli «uomini senza identità». Così vengono definiti dai sociologi coloro che si siedono davanti a uno schermo sotto una luce al neon. E s’illudono che tre prugne allineate siano la soluzione.

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