Cittadini lontani
dalla legge elettorale

L’Italicum è legge. Non credo che il presidente della Repubblica possa avanzare delle riserve come chiedono gli oppositori. Pur avendo un tasso di gradimento molto basso, prendo atto che il Parlamento ha varato una nuova legge elettorale, del resto questa è la regola della democrazia. Adesso è il tempo di valutare quelli che possono essere gli effetti della nuova legge sul sistema politico e il sistema democratico. Un sistema elettorale non è solo un meccanismo per scegliere la classe dirigente, ma s’interseca e propone un modello di equilibri istituzionali. Ciò che è in gioco da oggi in poi è come vivremo il nostro sistema democratico, tenendo conto dell’evoluzione delle nostre società e, pertanto, come si riuscirà a rispondere alle sfide del tempo.

Si riuscirà a togliere l’effetto dell’anestesia che sembra circondare la nostra democrazia?Chi ha seguito con attenzione il dibattito e le deliberazioni che si sono svolte attorno alla nuova legge elettorale, non può non aver registrato la grande indifferenza dimostrata dai cittadini. Ci sono ragioni evidenti che allontanano i cittadini dalle questioni eminentemente politiche ed istituzionali e sono i problemi del vivere indotti da una crisi economica che ha come epicentro la disoccupazione e la mancanza di una domanda di lavoro, che induce le famiglie e le singole persone a concentrarsi sulle difficoltà e le incertezze del futuro.

La vera «questione democratica» del Paese è da ricercarsi nella crescita del malessere sociale, nella fatica del vivere dei ceti sociali più deboli, negli episodi di corruzione, invece di indicare alla legge elettorale come «tomba della democrazia». Fatta la legge bisognerebbe iniziare a discutere del premierato (teniamo presente che ipotesi ispirate a questo sistema erano già emerse dalla Bicamerale di D’Alema, nella proposta di revisione costituzionale di Berlusconi, Fini e Bossi nel 2006),di come lo si declina e come nella nuova situazione generare e attivare forme nuove di partecipazione. Venendo da una certa tradizione e pensiero politico ho molta diffidenza verso l’idea «del sindaco d’Italia», ma prendo atto che questo ormai è il modello che si è imposto a ogni livello.

Si è aperta la questione di come in un sistema molto apicale e con forti tendenze monocratiche, i cittadini possono partecipare alla vita politica, e non solo assistervi seduti davanti alla televisione. Questo è il problema politico centrale su cui andrebbe aperto un grande dibattito. Un tempo lo strumento principe era il partito, ma con la nuova legge elettorale finisce la forma partito che abbiamo sperimentato lungo la vita della Repubblica.

Il premierato forte e il modello bipolare che si stanno delineando, presuppongono per funzionare una nuova forma partito e nuove modalità partecipative. Questa prospettiva è oggi frenata dal sognare un partito piglia tutto, che per essere tale deve essere programmaticamente indistinto, un poco consociativo e segnato solo dalla figura del leader.

Una vera democrazia dell’alternanza – l’unica che può giustificare il bipolarismo – esige che il partito si trasformi in un complesso e articolato comitato elettorale capace di generare, tramite primarie regolamentate, una leadership credibile capace di una proposta di governo per la legislatura. Non deve più proporre un modello di società che duri per l’eternità, ma proporre ed esercitare governance pragmatica, seppur orientata dagli interessi coalizzati sulla figura del premier. Tocca alla società e alle sue articolazioni organizzative e rappresentative mettere in campo forme e modelli.

Ecco perché è utile abbandonare i toni di tragedia che si sono sentiti in queste ore, per avanzare con rigore ragionamenti pacati , ampliare il dibattito e produrre argomentazioni credibili, dire con chiarezza a quale modello si punta e su come dovrebbe funzionare per non mortificare la possibilità di partecipazione dei cittadini. La polemica sui contrappesi da mettere in campo per contenere e controllare il potere politico deve essere riportata alla realtà e sapere che per funzionare non bastano solo le definizioni normative che pure sono utili. Sono i cittadini che devono riappropriarsi, tramite nuove forme partecipative, di contropoteri non potendoli più trovare nel partito comitato elettorale, preoccupato giustamente del consenso.

Forse si apre la possibilità di passare dal pluralismo dei partiti a quello sociale formato e organizzato in club, associazioni, lobby, forme civiche di rappresentanza. La democrazia non può essere ridotta solo al voto , alla comunicazione , ma è fatta di interlocuzioni, di dibattito pubblico, di dialettica vivace e di una possibilità estesa di governi e gestioni. Solo con l’esercizio di una presenza pubblica diffusa si produce classe dirigente, emergono proposte e orientamenti che possono essere fatte agire nelle diverse aggregazioni politiche e sui vari leader.

Finita la stagione dei partiti identitari, può forse iniziarne una nuova: quella di far agire identità, valori, interessi su tutto lo scenario politico. Solo se si sarà in grado di generare nuovo pluralismo, non monopolizzato dai partiti, la politica potrà tornare ad essere interessante per i cittadini.

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