Consip, in gioco
la stabilità d’Italia

Trovatosi idealmente nella posizione di Silvio Berlusconi, cioè di possibile oggetto di una offensiva politico-giudiziaria, Matteo Renzi si sta prendendo alcune soddisfazioni. E buon per lui. Ma non per questo risultano meno inquietanti le circostanze che vanno emergendo dall’inchiesta Consip, quella cioè che indagava su presunti casi di corruzione legati agli appalti della pubblica amministrazione. Non c’è dubbio che in quel palazzo di vetro che ospita una società messa in piedi per razionalizzare le spese pubbliche, ci sia un verminaio da sanificare, e lo dimostra il patteggiamento proprio ieri di uno dei funzionari messi sotto torchio. In quelle stanze circolano moltissimi soldi e non è difficile pensare che vi siano attirate le più diverse specie di faccendieri.

Ma il punto politico non è questo: ciò che emerge dalla deposizione davanti al Csm della procuratrice capo di Modena, interessata di lato all’inchiesta, e dalle indagini della procura di Roma, è che si è intenzionalmente provato con l’inchiesta Consip a colpire Matteo Renzi all’epoca presidente del Consiglio, attraverso il coinvolgimento di suo padre Tiziano. Si capisce, dalle indagini sui carabinieri del Noe che conducevano le indagini e sul pm che le ordinava, che si è lavorato perché «scoppiasse la bomba», per usare le parole dell’ufficiale dei carabinieri (ex «comandante Ultimo») al giudice modenese. E la bomba doveva fare a pezzi Renzi. In queste ore si sta complicando la posizione dei due ufficiali, Scafarto e «Ultimo» e del pm Woodcock, ora indagato anche per falso oltre che per rivelazione del segreto d’ufficio: l’impressione è che il terzetto comunque non uscirà indenne dalla bufera che lo sta travolgendo. L’operazione «Renzi» non è riuscita ma ciò che interessa non è la fortuna politica del segretario del Pd, che è cosa che riguarda lui, il suo partito e i loro elettori. Ciò che invece riguarda la coscienza istituzionale è che ci sono stati alcuni pezzi dello Stato che hanno manovrato per via giudiziaria e, se sarà provato, commettendo reati, contro il presidente del Consiglio in carica. È stata fatta una manovra politica «di opposizione» al capo dell’Esecutivo usando gli strumenti del tutto impropri di un altro potere dello Stato.

Qualcuno obietterà: non è certo la prima volta che accade. Vero, ma non per questo è meno grave. Senza voler riandare ad episodi troppo lontani della Prima Repubblica, abbiamo passato due decenni a discutere della lotta tra Silvio Berlusconi e la magistratura, a litigare sui processi del fondatore di Forza Italia e delle inchieste su di lui quando era presidente del Consiglio. Quei vent’anni hanno segnato la sfortunata vita della cosiddetta Seconda Repubblica, e nessuno rimpiange lotte politico-giudiziarie di quel tipo. Quel che sconcerta è che anche con una classe dirigente più giovane, certamente non nella stessa posizione di potere personale di Berlusconi, lo scenario tende a ripetersi. Alcuni hanno usato parole molto grosse, del tipo: eversione. Non esageriamo. Però, al netto del principio che in democrazia il presidente del Consiglio come tutti è sottoposto alla legge e deve rispettarla, costruire prove false ai suoi danni è una cosa grave, molto grave, che sconvolge pericolosamente l’equilibrio tra i poteri dello Stato e mina la stabilità del Paese.

Stabiliranno i giudici, speriamo in fretta, fino a che punto il dottor Woodcock si è spinto nella sua azione, servendosi dei due militari, ma non possiamo non ricordare che il pm, prima a Potenza e poi a Napoli, si è reso spesso protagonista di vicende giudiziarie quantomeno sconcertanti che oltretutto quasi mai sono arrivate a sentenza ma che comunque sempre hanno dato luogo a non piccole conseguenze politiche. Tutto questo deve essere materia di riflessione per i tanti servitori dello Stato, ad ogni livello, e speriamo influenzi il dibattito sulla riforma delle intercettazioni che, da indispensabile strumento di indagine, si sono troppe volte trasformate in una pubblica gogna che di volta in volta ha fatto comodo a questo o a quel protagonista della vita pubblica nazionale.

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