Economie convergenti
L’apertura conviene

Il 3 settembre scorso nella città di Xiamen, situata difronte a Taiwan, il presidente cinese Xi Jinping ha aperto il summit del Brics, acronimo dei cosiddetti Paesi emergenti Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica. Nel suo intervento introduttivo ha dichiarato che «le economie emergenti devono opporsi con decisione al protezionismo» e ha assicurato che «Pechino continuerà ad investire sui mercati internazionali e ad accogliere investimenti esteri sul fronte domestico». Ha poi aggiunto: «I Paesi partecipanti devono lavorare per l’apertura della governance economica globale perché è la sola a portare progresso».

Tale linea, seppure con sfumature diverse, è stata ampiamente condivisa dai capi di Stato convenuti. Questa nuova posizione assunta da Xi a difesa della globalizzazione, segue quella altrettanto netta di Davos dove Xi si è apertamente schierato contro il protezionismo e la politica dei muri di cui Trump si sta facendo principale sostenitore.

A margine del convegno Luo Hongbo, autorevole membro dell’Accademia di scienze sociali e molto vicino a Xi, ha dichiarato al quotidiano «la Repubblica» che al congresso del Partito comunista del prossimo 18 ottobre - che lo eleggerà presidente per i prossimi 5 anni - Xi assumerà l’impegno di cancellare la povertà entro tre anni. Ha aggiunto: «Mao ha dato il potere al popolo, Deng ha indicato la strada dello sviluppo (libero mercato) e Xi quella per superare le diseguaglianze sociali». Sa bene Xi che le forti disuguaglianze e la grande concentrazione della ricchezza che contraddistinguono le società occidentali rappresentano il maggiore pericolo per la loro stabilità. Sa anche che il sistema comunista sovietico è entrato in crisi perché si proponeva di redistribuire una ricchezza che non riusciva a produrre. Egli avverte, quindi, la necessità di contrastare la povertà, cosa possibile solo attraverso la crescita del Pil cinese ad un ritmo superiore al 7%. Ciò può avvenire aprendo il mercato interno e aprendosi ai mercati internazionali.

Di questa strategia fanno parte i pressanti inviti rivolti ai Paesi occidentali ad investire in Cina, nonché gli investimenti in infrastrutture, per decine di miliardi di dollari, effettuate negli ultimi anni nei Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa. Questi interventi hanno il duplice obiettivo di rilanciare l’economia di quei Paesi e ottenere grandi vantaggi economici nell’utilizzo delle loro fonti energetiche e nell’accesso privilegiato a quei mercati. Per molti aspetti diverso è stato, invece, l’obiettivo che si è posta la Cina quando nove anni fa ha fondato il Bric, divenuto successivamente Brics per l’adesione del Sud Africa. Questo gruppo di Paesi, che rappresentano il 25% del Pil mondiale, doveva costituire un’area economica, finanziaria e monetaria alternativa a quella del dollaro. Ciò non è avvenuto e oggi quest’alleanza è l’ombra del cartello di un tempo. La moneta cinese è entrata a far parte lo scorso anno dei Diritti speciali di prelievo e per Pechino gli scambi con i quattro partner valgono meno della metà di quelli con gli Stati Uniti. Tuttavia, è intendimento di Xi, approfittando anche della svolta protezionistica di Trump, di ridare forza a questo progetto. Lo testimonia l’apertura a Shanghai il 25 luglio dello scorso anno della «Nuova Banca di Sviluppo», destinata a finanziare la collaborazione tra i cinque Paesi. L’istituto partirà con un capitale di 50 miliardi di dollari, destinati entro il prossimo anno a salire a 100, e rappresenterà il contraltare della Banca Mondiale.

Un fatto di particolare rilievo è che il nuovo organismo bancario differisce dalla Banca Mondiale per il diritto di voto, che non è proporzionale al capitale investito, bensì capitario. Ogni Paese ha diritto ad un voto e non è prevista la possibilità di esercitare veti allo scopo di assicurare una gestione condivisa. Il primo presidente dell’Istituto, l’indiano Kundapur Vaman Kamath, nel suo discorso inaugurale ha affermato: «Collaboreremo con tutti gli attori legati allo sviluppo. Il nostro obiettivo non è quello di sfidare il sistema esistente, ma di migliorare e completare il sistema a modo nostro». Gli ha fatto seguito il ministro delle Finanze cinesi Lou Jiwei: «Come Ente di sviluppo per i mercati emergenti la banca si focalizzerà di più sulle loro necessità, rispetterà le loro specificità e rappresenterà meglio le loro idee. Ciò arricchirà i concetti, le pratiche di sviluppo e migliorerà la cooperazione».

L’impressione è che ci si trovi di fronte ad un profondo cambiamento degli assetti politici ed economici internazionali che vedrà certamente Xi Jinping tra i grandi protagonisti.

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