Gli Usa di Donald Trump
Parola chiave: protezione

«Ciò che davvero conta non è quale partito controlli il Governo, ma se il Governo è controllato dal popolo». Ops… Un socialista è arrivato alla presidenza degli Stati Uniti d’America? No, niente paura, è solo Donald Trump. Che all’inaugurazione del suo primo mandato alla Casa Bianca ha pronunciato un discorso intriso di grande astuzia politica. Tanto che sarebbe davvero interessante scoprire chi gliel’ha scritto e per quali mani sia passata la redazione finale. Ma tornado a Trump e al «popolo». Sarà facile per molti,analizzando questo passo che in effetti è centrale nel discorso, parlare di populismo e rifriggere i soliti discorsi, mille volte fin qui uditi. Lo si faccia, a patto però di precisare di quale populismo si tratta. Perché la frase del discorso di Trump non è che la parafrasi del famoso discorso di Gettysburg, tenuto il 19 novembre 1863 dal presidente Abramo Lincoln. Si era in piena guerra di secessione, erano passati appena quattro mesi dalla orrenda battaglia di Gettysburg (morirono 60 mila uomini e le forze del Nord arrestarono l’offensiva di quelle del Sud) ma Lincoln già esortava tutti gli americani a difendere «il governo del popolo, dal popolo, per il popolo».

Trump non è Lincoln e il suo discorso di ieri non passerà alla storia come quello di Gettysburg. Ma la citazione è chiara e va nello stesso senso. Perché gli storici ci dicono che Lincoln trasse ispirazione per quella frase dai discorsi di Daniel Webster, un senatore del Massachussets che del governo federale aveva detto: «La gente lo ha fatto nascere, e sostenuto , al fine di imporre determinate restrizioni molto salutari sulla sovranità dello Stato». È quanto Trump si è sforzato di promettere, criticando appunto «l’establishment che ha protetto se stesso e non i cittadini».

«Protezione» è la parola-chiave dell’intero discorso. Protezione dei confini, del lavoro, delle piccole comunità, del benessere e della tranquillità della classe media che è, con ogni evidenza, il primo interlocutore politico del nuovo Presidente. «Qualunque decisione su commercio, tasse, immigrazione e politica estera dev’essere presa a vantaggio dei lavoratori americani e delle famiglie americane», ha detto con enfasi. E mentre gli altri Presidenti, nei loro discorsi inaugurali, elencavano rischi e minacce in arrivo da fuori, Trump ha giocato la carta della calma dei forti: «Siamo protetti e saremo sempre protetti… dai grandi uomini e donne delle forze armate e delle forze dell’ordine e, quel che più conta, siamo protetti da Dio».

Tutto questo fa di Trump un conservatore fuori dalla linea della tradizionale destra americana. Liberista, ma pronto a impegnare l’azione del Governo anche in economia («Seguiremo due semplici regole: compra americano, assumi americani»). Per nulla convinto che la ricchezza dei più abili o fortunati sia destinata a distribuirsi naturalmente verso il basso («Riporteremo indietro la nostra ricchezza»). Calato nell’americanissima idea che gli Usa abbiano un destino particolare tra le nazioni ma disposto ad affrontare la concorrenza («È diritto di tutte le nazioni perseguire come una priorità l’interesse nazionale»). E in politica estera un solo, chiaro messaggio: «Unire il mondo contro il terrorismo islamista, che sradicheremo dalla faccia della terra».

Siamo a molti anni-luce dai neo-con che dominarono le presidenze Bush e ancor più lontani dal doppio binario (liberal nei costumi, conservatore in politica) del centro democratico di Obama e dei Clinton. Quello di Trump è il populismo delle praterie, della gente che non sa stare con le mani in mano, dell’americano che crede in Dio e in se stesso. È stato più che sufficiente a fare di lui un Presidente. Ora tocca a lui farne una presidenza.

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