I consigli di Visco,
la bacchetta magica

La relazione del governatore della Banca d’Italia va letta identificando tre pilastri che portano a una tesi finale. Il primo punto riguarda l’economia reale: c’è un pallido sole all’orizzonte, e se ci accontentiamo di un aumento del Pil di meno di mezzo punto possiamo perfino dire che siamo in ripresa. Forse più grazie alla crescita mondiale che ai nostri meriti, comunque la direzione non è più negativa.

In questo quadro di fragilità le imprese italiane dimostrano una buona competitività verso l’estero nonostante, lamenta Visco, un tasso di innovazione insufficiente e inferiore, per esempio, a quello della Germania. Dunque, è una competitività sostenuta dal mini-euro, circostanza per sua natura transitoria, non strutturale. Bisognerebbe approfittarne per conseguire guadagni di produttività durevoli attraverso più coraggiose ristrutturazioni d’impresa.

Il secondo punto verte sui mercati finanziari. Il governatore sottolinea il contributo alla stabilità degli acquisti decisi dalla Bce e ci assicura che non vede squilibri strutturali all’orizzonte. In altri termini ci dice che non vede una bolla finanziaria, ma questa parola non la vuole neanche pronunciare. Certo, il fatto che sette Paesi dell’Unione abbiano tassi negativi fino alla scadenza a 3 anni (e la Germania addirittura fino a 9!) lo induce a rilanciare l’espressione di Draghi secondo cui siamo in «territori inesplorati». Quali orribili fiere si annidino in queste selve inospitali non è dato sapere: recessione prolungata alla giapponese? Trappola della liquidità di keynesiana memoria? Una nuova crisi finanziaria da eccesso di debito? Magari niente di tutto questo, se la manovra di stimolo all’economia riuscirà e rimetteremo in moto meccanismi virtuosi di sviluppo. Ma qualche timore esiste.

Infine il terzo punto: il sistema bancario e il finanziamento delle imprese. Ormai neanche il paludato governatore può passare sotto silenzio il progetto della bad bank (per spiegare bene di cosa si tratta occorrerà un prossimo articolo; per il momento diciamo che è un sistema per spurgare le scorie creditizie della crisi). E così con questo tassello si completa il quadro della rivoluzione introdotta a colpi di decreto con la cancellazione delle popolari e, prossimamente, del credito cooperativo nonché con la messa in angolo delle fondazioni bancarie.

La riforma della governance delle banche era la condizione che Francoforte e Bruxelles hanno preteso (pardon: suggerito) per consentire la costituzione della bad bank. Grazie a questa, le banche dovrebbero tornare a fare il loro mestiere di erogare il credito per sostenere le imprese ma, avverte il governatore, con il nuovo quadro normativo molto più severo ed esigente, il sistema bancario non potrà assicurare alle imprese tutta la finanza di cui hanno bisogno.

Quindi avanti con la quotazione in Borsa, con gli aumenti di capitale, con le emissioni obbligazionarie, con i fondi di credito eccetera. Basterà? In altri sistemi questi canali sorreggono la crescita, ma per arrivare a quel punto la strada da fare è ancora molta.

Infine la conclusione: dall’inizio della crisi il debito pubblico è aumentato di 30 punti percentuali, portandosi al 132% del Pil. In questo scenario disquisire su austerità sì o austerità no è filosofia astratta. E allora come rilanciare l’economia senza agire sulla leva del bilancio pubblico? Visco risponde: rimuovendo gli ostacoli al funzionamento del Paese e delle imprese, cioè rendendo efficiente la burocrazia, riformando la giustizia e la scuola, ammodernando le infrastrutture eccetera. Ha ragione, non c’è alternativa. Ma purtroppo neanche la bacchetta magica.

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