Il compito ambizioso
di un G7 partecipato

Il G7 sull’agricoltura è finito bene, così come Bergamo ha superato la prova internazionale a tutti i livelli, sotto gli occhi dei ministri di grandi Paesi, dell’Unione europea e del continente africano. Non c’è che dire, a cominciare dall’organizzazione: non tutto era prevedibile in questi termini. L’inatteso omaggio del bel tempo e un clima umano accogliente hanno fatto il resto e completato l’opera. Territorio e società rispondono alla chiamata di un orgoglio maturo quando si sentono coinvolti: è successo così. Non è stato un vertice elitario chiuso in laboratorio, ma è stato partecipato, nei giorni scorsi, in dialogo e in sinergia con le istituzioni locali, l’associazionismo di varia natura, cattolico e laico, il mondo della scuola, dell’università e dei giovani.

C’era poi la tragedia africana, sempre in prima linea dentro l’orizzonte del summit, una realtà vicina alla sensibilità solidaristica e alla traiettoria storica della Bergamasca (pensiamo solo all’importanza del mondo missionario). Bergamo è global nell’economia e ora comincia ad andare nel mondo anche sul versante social.

Neppure poteva essere scontato del tutto l’intesa unanime fra i ministri sulla gestione dei rischi climatici, il tornante più scivoloso, considerando la posizione di Trump sugli accordi di Parigi e, in genere, la discontinuità verso i trattati internazionali e gli strappi geopolitici. In una stagione sfavorevole, un passo avanti incoraggiante, per riprendere il giudizio conclusivo del ministro Maurizio Martina che giocava in casa e che, con la presidenza italiana del club, ha coordinato le due sessioni. Pensavamo di conoscere tutto oltre il cortile di casa, a Sud del Mediterraneo, e dell’universo rurale. Non è così, perché le congiunture della storia sono imprevedibili e quasi sempre critiche, ma ora c’è qualche strumento in più per comprendere e distinguere, per rilanciare la diplomazia del dialogo e della cooperazione, almeno per chi intende innalzare ponti e abbattere barriere. Un retroterra esplicito, quello del G7, riaffermato come principio e azione politica. Si dirà che i limiti di questi vertici stanno nella distanza fra teoria e prassi, comunque è un orientamento positivo, scritto e quindi verificabile nel tempo: non è poco nel tempo delle cattive idee e delle pessime azioni. La due giorni di Bergamo è in linea con il vertice di Taormina, riservato ai leader del G7, e fa da cerniera con la Giornata internazionale dell’alimentazione che si celebra oggi alla Fao con l’intervento di Papa Francesco. L’ambizione è quella di togliere dalla fame 500 milioni di persone nei prossimi anni, anche se le notizie che giungono dal fronte della miseria parlano sia di un arretramento sia di un arresto della crescita. L’obiettivo «fame zero» entro il 2030 resta lontano. Tuttavia l’Africa non è un continente perso e in questo contesto l’agricoltura è sì la prima vittima, ma può trasformarsi in fattore di crescita se le vengono dati strumenti e nozioni per arginare la regressione. Il dato politico della Dichiarazione di Bergamo è nel nesso stabilito fra impoverimento agricolo e crescita dei flussi migratori. In sostanza: il cibo riemerge come grande questione democratica e di cittadinanza del nostro tempo. Sostenere, qui e altrove evidentemente, la media e piccola impresa dei campi è un contributo a società inclusive. Un aiuto ai molti e non ai pochi.

Il legame non appariva così immediato al pari del ritorno di una parola impegnativa, lotta alla disuguaglianza, come parametro della modernità e radice della denutrizione: tolta, insomma, dal cassetto delle parole inservibili. Sappiamo meglio che le origini di prosperità e povertà risiedono nelle istituzioni politiche ed economiche che le nazioni si danno. Ci sono Stati che falliscono in base alla ferrea logica dell’oligarchia e dei Paesi «estrattivi». Là dove l’élite «estrae» risorse e diritti ai tanti e dove i liberatori di ieri sono i dittatori di oggi. Per sequenza logica segue la privazione delle terre, l’espulsione dei piccoli e medi proprietari per mano corsara delle multinazionali. Fra i disperati che cercano un altro mondo da noi ci sono frantumi di un mondo, specie femminile, orfani dei diritti e del futuro.

Lo stesso libero mercato ha le sue contraddizioni, perché il «dazio zero» e i prezzi bassi dei Paesi in via di sviluppo hanno un doloroso costo alla fonte (le intollerabili condizioni di vita di quei lavoratori) e, alla destinazione, il dumping ai danni degli agricoltori dell’Occidente. Non è facile uscirne, ma si può tentare con la cooperazione, con la tutela del reddito dei piccoli e medi agricoltori, con la trasparenza nella formazione dei prezzi e con lo sviluppo di sistemi produttivi legati al territorio. Il G7 s’è dato un compito ambizioso e porta in sé una responsabilità in più. L’onere della prova tocca alle grandi democrazie, senza dimenticare che la pur necessaria realpolitik non può essere scissa dall’etica e dalla giustizia: parola di monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei, intervenuto a Sant’Agostino prima del vertice G7.

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