Il destino di Bergamo
dentro un libro

Ricordare è un atto d’amore, ma a che serve? La domanda da cui tutto ciò che si scrive discende, da Shakespeare a Piero Chiara, non può avere risposta alla settima riga. Prima bisogna sfogliare il nostro «Bergamo in prima pagina» con il distacco della curiosità, e farlo con la concretezza dei sognatori per riconoscere nel filo dei ricordi una storia che riguarda tutti i bergamaschi.

L’ho fatto anch’io un paio di giorni fa, in attesa di moderare un interessante convegno nel quale avrei avuto la conferma da esperti di prim’ordine che «abbiamo un disperato bisogno di crescere», di uscire da questa stagnazione della speranza, di guardare oltre gli orizzonti delle Orobie per ritrovare la fiducia che è sempre stata il motore di un popolo in movimento.

Fiducia è la parola perduta. E questa scomparsa è il motivo della paralisi dei consumi, della diffidenza delle banche, dello stare fermi come regola di vita, in attesa che accada qualcosa. Fiducia è la parola che dobbiamo ritrovare per ritrovarci, per riprendere i campionari e infilarci su un aereo, per uscire a respirare l’aria fresca del mattino convinti che sarà una buona giornata. Ma fiducia è anche una parola complicata, che non si può pronunciare da soli senza correre il rischio di passare per velleitari. È una parola che riguarda tutti, che tutti dovremmo percepire nella conversazione con un amico, nel fremito che arriva dalla società, nelle notizie pubblicate da un giornale. Noi ci proviamo, siamo noi per primi stanchi - ogni mattina in riunione - di mettere in fila i morti e i feriti a Stalingrado e da qualche tempo abbiamo cominciato a raccontare le eccellenze del territorio, ad accendere i riflettori su chi ce la sta facendo.

E andando a sfogliare «Bergamo in prima pagina», il secondo volume dal dopoguerra a oggi (in edicola con il giornale in queste settimane), abbiamo scoperto che tutto è già accaduto e che i bergamaschi sono stati capaci in stagioni più dure di questa di trasformare la pirite in oro, le macerie in palazzi, un’idea in un’impresa, quel villaggio in cima al monte (Bergheim) in una delle più affascinanti e operose città d’Italia.

C’è tutto scritto in quel libro che ripercorre settant’anni della nostra vita, quella dei nostri nonni e dei nostri padri. Ed è singolare scoprire come nel borgo Santa Caterina, il caos suscitato da Fausto Coppi in gita domenicale con gli amici, fosse una movida ante litteram. O come un particolare periodo di recrudescenza della cronaca nera (anni Cinquanta) facesse dire agli investigatori dell’epoca che «gli assassini vanno in macchina, i carabinieri in bicicletta».

Non rivediamo in tutto ciò i riflessi condizionati della criminalità di oggi, che sembra sempre un passo avanti nella sua ferocia e nella sua impunità? Erano gli anni in cui ogni casa della Val Seriana aveva un telaio in funzione, e il rumore dei macchinari faceva da colonna sonora all’epopea del tessile che avrebbe conquistato il mondo. Un leader dell’imprenditoria, ricordando quella stagione, ancora oggi suole dire: «Non si fermavano mai, neppure a Natale. Solo nel giorno delle manutenzioni tacevano, e quel silenzio mi spaventava perché mi pareva innaturale. Quel silenzio non mi faceva dormire». Erano i tempi del grande sogno del volo, quando una pista d’atterraggio degli Stukas stava per diventare il terzo aeroporto d’Italia.

E uno straordinario direttore di questo giornale, monsignor Andrea Spada, si faceva accompagnare ogni sera a controllare l’aeroporto che prendeva forma. È struggente ripercorrere quegli anni, quelle emozioni, cogliere il senso di fiducia che accomunò un intero territorio attraverso le pagine del nostro giornale. E non potrebbe che essere così, perché L’Eco c’era. L’Eco c’è sempre stato. Ed ecco che in fondo a questa riflessione c’è la risposta alla domanda iniziale.

Ricordare è un atto d’amore, ma a che serve? Ci piacerebbe rispondere a sir William che serve a ritrovare la fiducia nel sogno, la dignità nella fatica. E, nel rispetto di un dovere morale verso i nostri figli, a ripartire.

La presentazione del libro
Domenica 23 novembre alle 18 il volume viene presentato nella Casa natale di Gaetano Donizetti. Si tratta di un pezzo di storia, non solo locale, ma anche nazionale e internazionale, racchiusa in un libro da tenere nella libreria di casa, da sfogliare e leggere, da conservare come un ricordo.

È una fotografia dei principali eventi «Bergamo in prima pagina, dal 1946 al 2014», il secondo volume curato dai giornalisti Pino Capellini ed Emanuele Falchetti che propone ai lettori una selezione delle prime pagine de L’Eco di Bergamo dal secondo dopoguerra a oggi.

Il libro è in vendita in abbinata al quotidiano. Durante la presentazione i partecipanti potranno portare con sé fotografie storiche, oggetti recenti e ogni altro ricordo legato agli eventi riportati nelle prime pagine del giornale.

La presentazione, insieme ai curatori e al direttore de L’Eco di Bergamo, Giorgio Gandola, sarà preceduta dalla visita della dimora del compositore bergamasco insieme al direttore artistico del Teatro Donizetti Francesco Bellotto. La serata, terminerà con una cena al ristorante «Il Gourmet», con una cena firmata dallo chef Stefano Asperti e con i vini selezionati dal patron Giovanni Corna.

«Bergamo in prima pagina» è nelle edicole, a 8.80 euro più il prezzo del quotidiano (per chi non avesse il primo volume, potrà riceverlo facendone richiesta all’edicolante).

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