Il dramma del lavoro
un sogno per ripartire

«Un sogno è brace vera: se qualcuno lo cura, diventa fuoco». Suonava più o meno così una delle battute finali di Laura Curino che con manager, quadri e nuovi assunti del RadiciGroup ha ripercorso la storia di Olivetti. La storia di un sognatore. Di un’Italia pioniera, e a tratti incompresa, raccontata nella terra di un altro sognatore, Gianni Radici, di cui quest’anno ricorre il decennale della scomparsa.

A prima vista può sembrare stridente rievocare i sogni di chi ha contribuito a fare grande l’Italia manifatturiera dovendo parlare qui del dramma dei licenziamenti registrati in provincia nel 2014, ma non lo è. Perché da questo ristagnare (ahinoi, a volte rassegnato) dell’economia, ci rialzeremo solo con un sogno (con i piedi ben piantati per terra, s’intende), che nella nostra terra può e deve partire dal manifatturiero. Qui sta il nostro saper fare da secoli e ha ragione chi dice che l’industria, sempre più avanzata nelle conoscenze e con un indotto di servizi all’altezza, ha un ruolo centrale nel creare ricchezza e lavoro.

Il sogno allora deve essere duplice e il nuovo rapporto Ocse potrà aiutarci a disegnarlo: difendere il manifatturiero che c’è e creare terreno fertile per quello che verrà. Favorire gli investimenti resta la chiave di volta per far cambiare passo all’economia. Favorire sia chi già è all’opera e può alzare l’asticella dell’innovazione, sia chi potrebbe investire in nuove realtà.

Su questo fronte c’è attenzione per l’iniziativa del sindaco Giorgio Gori per attirare imprese innovative a Bergamo (e dintorni) con tagli ai costi e alla burocrazia. Il progetto guarda, ad esempio, a quella schiera di imprese che scelgono di localizzarsi nella cintura di Milano e che potrebbero trovare vantaggioso puntare invece su una città di provincia vivibile, con una buona Università e un aeroporto e tutto sommato non troppo distante dalla metropoli.

Lo sguardo al capoluogo lombardo rimanda a una delle prime suggestioni emerse dalle bozze del nuovo rapporto Ocse: l’opportunità di allearsi con Milano, cogliendone i benefici ed evitando il rischio di finire relegati al ruolo di periferia. Sarà utile aspettare le raccomandazioni finali che arriveranno dal pool di esperti dell’Ocse prima di spendere parole definitive.

Qualche ragionamento però si è già abbozzato. Non sembrano peregrine, ad esempio, quelle considerazioni che evidenziano come l’intensa attività accademica di ricerca che si fa a Bergamo nei campi della medicina e affini e dell’ingegneria non si traduca sempre in un rapporto con l’economia capace di fare da moltiplicatore d’imprese. Lo spunto non è banale, perché se una cosa manca in questo Paese da riassettare è un’indicazione chiara sulla direzione da prendere. Si chiamava politica industriale e diceva: questi sono i campi del futuro, investiamoci.

E siccome siamo il Paese del saper fare, ma pure della bellezza, accanto al manifatturiero ci sarà anche tutto il tema del turismo da sondare. Di certo, può essere un altro bacino importante per creare lavoro, ma se facciamo le cose bene. Nonostante il nostro patrimonio naturale e architettonico, recenti classifiche mondiali ci hanno visto perdere posizioni, penalizzati da voci come il rapporto qualità-prezzo nell’accoglienza: dati nazionali, riflessioni per tutti, aspettando le indicazioni Ocse anche su questo fronte.

Nell’attesa, non lasciamoci schiacciare da quei 9 mila licenziamenti stimati per il 2014, di cui oltre 4 mila nelle imprese con più di 15 dipendenti e più di mille solo a dicembre. Sono pesanti, per i singoli e per il territorio. Solo un sogno, brace vera che diventa fuoco se coltivato, ci permetterà di andare oltre.

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