Il governo è debole
Napolitano fa il tutor

Sono tanti i motivi di interesse istituzionale presenti nei due recenti interventi del presidente Napolitano: quello del 16 dicembre, nella cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni e della società civile; e quello del 18 dicembre, per gli auguri del corpo diplomatico, in cui egli ha anche rivelato l’imminenza delle sue dimissioni.

La prima osservazione che il contenuto di tali interventi suscita è l’evidenza, al di là dei toni sempre sicuri esibiti dal presidente del Consiglio Renzi, della debolezza del governo. Il piglio decisionistico con cui il governo affronta le gravi questioni sul tappeto, o forse ne annuncia la presa in carico, si regge in verità su un sistema di coperture istituzionali legittime, ma condizionanti e di tipo tutoriale. Anzi tutto sono chiari, ed è merito del presidente Napolitano averlo richiamato ancora una volta, la cornice e il condizionamento europeo in cui si pensano e si attuano le politiche nel nostro Paese.

Si ha spesso l’impressione che alcune recenti riforme (ad esempio, quelle costituzionale sulla disciplina del bilancio e del Jobs act) siano state adottate per mandare segnali all’Europa, più che per convinzione. Una sorta di captatio benevolentiae, pagata però a caro prezzo, destinata ai rigidi custodi di un’interpretazione ragionieristica dell’Europa. Bene si farebbe, anche per la corretta formazione dell’opinione pubblica, ad accendere i riflettori direttamente sulla scena europea, per condizionarne la formazione e l’evoluzione, anziché assumerla sempre e solo come un vincolo esterno o un lontano manovratore.

L’altra copertura, tutoriale, è quella che il presidente Napolitano ha offerto a Renzi, non senza qualche rischio – che, a mio avviso, anche in questi discorsi si concretizza – di travalicamento rispetto al ruolo che la Costituzione affida al presidente della Repubblica. Se infatti può essere condiviso in modo pieno l’appello, rivolto a opposizioni e a forze sociali, a un senso di responsabilità che si faccia carico della drammaticità delle condizioni economiche e sociali del Paese e che dunque eviti il facile ricorso a propaganda semplicistica, non convince invece la pretesa del garante supremo della Costituzione a inscatolare la riforma costituzionale entro il pacchetto angusto dell’indirizzo politico del governo.

È ben vero, come dice Napolitano, che attorno alla riforma del Senato si discute da decenni; ed è altrettanto vero che la stessa soluzione adottata in Assemblea costituente non rispecchiava l’originalità che altrove la Costituzione manifestava. E tuttavia, la riforma proposta non va nella direzione di colmare quella distanza, essendo piuttosto ispirata da un disegno semplificatore, assai più che federalista, il quale si pone agli antipodi rispetto all’organo di rappresentanza della complessità dei corpi intermedi (formazioni sociali e livelli istituzionali) che il ricordato Mortati (e con lui La Pira) aveva in mente.

Sia ben chiaro: la riforma del Senato proposta dal governo non è eversiva; è semplicemente senz’anima e forse anche ingannevole, poiché usa un’etichetta (il Senato federale) menzognera rispetto agli ingredienti poi usati (basta vedere come verrebbe ripensato il riparto delle competenze legislative Stato-Regioni). Sono dunque pienamente leciti l’opposizione e anche l’ostruzionismo quando si tratta di toccare la Costituzione. Né mi convince l’idea che la riforma del bicameralismo sia collegata alla crisi economica, cui invece gioverebbero– eccome! –un più deciso e serio contrasto (non solo annunci) alla corruzione dilagante e alla criminalità organizzata e l’apertura di una fase costituente di un’Europa federale.

Infine, l’appello alla stabilità: «Tutto richiede continuità istituzionale». Ben se ne comprendono le ragioni. A parte il fatto che proprio il governo Renzi nasce da un proditorio sgambetto alla stabilità lettiana, si deve anche dire che questo appello ci riporta alla mortificante condizione della situazione politica nostrana. Anziché un bipolarismo vivificato da progetti alternativi, ci viene rappresentata una situazione in cui vi è un’ipotesi di stabilità (il governo Renzi) e, dall’altro lato, il multiforme pericolo antisistemico.

Abbiamo già conosciuto queste fasi e i loro guasti. Serve ossigeno e capacità di proposta politica. Se è insensato chiedere – come fa Grillo – la messa in stato d’accusa di un presidente dedito e degno come Napolitano, forse l’ossigeno potrà venire anche da un futuro presidente della Repubblica meno aduso alle stanze del potere. Non mancano figure di questo tipo (Olmi? Magris?). Chissà...

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