Il nuovo don Camillo
che prega nel Po

lI parroco di Brescello, il paese di don Camillo e Peppone, ha deciso un singolare gesto di fede. Don Evandro Gherardi - questo è il suo nome - ha portato sugli argini del Po in piena l’enorme crocifisso, lo stesso che, nei film, parla a don Camillo distillandogli frasi di straordinaria saggezza evangelica.

I giornali hanno fatto notare che una scena simile esisteva anche in uno dei film famosi con Fernandel e Gino Cervi, «Il ritorno di don Camillo». Le immagini sono piuttosto impressionanti. Don Evandro, ritratto di spalle, prega appoggiando la testa al crocifisso molto più grande di lui, i piedi suoi, il camice e la base del crocifisso immersi nell’acqua che scorre tutt’attorno.

Don Evandro ha spiegato il senso di quella preghiera senza troppe sottigliezze teologiche: ha proposto ai suoi parrocchiani questa preghiera per chiedere, semplicemente, la protezione del paese dalla forza sovrastante e minacciosa del fiume. Il gesto è interessante e offre molti spunti di riflessione. In queste espressioni particolari della fede si ha l’impressione che tornino a galla alcune immagini primordiali. Spesso gli uomini hanno divinizzato la natura e soprattutto hanno divinizzato le manifestazioni più imponenti della natura: il sole, la luna il mare, i fiumi stessi. Quando non hanno divinizzato la natura hanno tentato o di arginarne lo strapotere con quello delle divinità protettrici o di ottenere con la preghiera e i riti offerti alle divinità quello che la natura non riusciva a dare da sola.

Il cristianesimo sa che qualche momento di regressione verso queste forme di paura «sacra» della natura sono sempre possibili, soprattutto quando il fuoco, l’acqua, le grandi catastrofi danno l’idea di una forza inarginabile, che nessuno riesce ad arrestare. In fondo a ogni cuore di cristiano sonnecchia qualche angolino di paganesimo. Non credo però che sia il caso di don Evandro e di Brescello. Anzi, nel vedere don Evandro così piccolo rispetto al suo crocifissone e così piccoli, lui e il crocifisso, rispetto a tutta la campagna allagata, si aveva la sensazione viva non della forza della preghiera, ma della sua debolezza. Naturalmente don Evandro e la sua gente con lui hanno chiesto che l’acqua si fermasse. Ma non potevano esserne sicuri. Quello che era sicuro era che volevano vivere anche quell’evento drammatico da credenti: gente che prega anche di fronte al Po in piena. Il Dio cristiano era vicino a loro anche in quel momento.

D’altra parte, la tradizione cristiana conosce gesti simili. Le antiche «rogazioni» erano delle processioni per ottenere gli esiti positivi alle seminagioni. Nelle nostre campagne era corrente bruciare le olive benedette quando si temeva il sopraggiungere della grandine. Oppure si suonava una certa campana che si pensava scongiurasse la tempesta. Tutti i nostri nonni sapevano benissimo che la cosa non funzionava sempre e capitava spesso che nonostante le olive benedette e la campana che alzava al cielo la sua implorazione, la grandine arrivava e si portava via le fatiche di tutta una stagione. Eppure quei gesti, se non salvavano il raccolto, salvavano comunque la fede, che si riaffermava, drammaticamente, anche di fronte alle tragedie: Dio era sempre sentito come un Dio vicino sia quando il raccolto era abbondante sia quando la grandine lo distruggeva.

In fondo, in questa resistenza della fede entra, decisivo, proprio il crocifisso. Don Evandro lo ha detto con il suo gesto più che con le sue parole. Ha piantato il crocifisso nella pianura allagata. Ha unito la sua sconfitta: l’acqua nella campagna, alla sconfitta del figlio di Dio che muore in croce. Insomma il Dio cristiano non fa scendere il Figlio dalla croce. Lo lascia morire, solo e angosciato. Poi lo richiama alla vita, certo. Ma la morte, la sconfitta, la sofferenza, gli sberleffi dei soldati, le ironie dei carnefici, tutto appartiene a Dio. Ecco perché ha senso pregare un Dio siffatto, anche quando si sta male e trovare consolazione in quella preghiera anche quando non si riesce a star meglio, dopo aver pregato.

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