Bergamo, l’orgoglio
e il Patto dei Mille

Questa è la Bergamo che funziona e c’è solo da augurarsi che lo stile possa ripetersi presto anche su altri fronti aperti sul territorio in ambiti completamente diversi, tipo Rapporto Ocse: unità, poche parole, fatti. Il Patto dei Mille per Ubi annunciato lunedì sera è stato una bella sorpresa. Dopo tanti auspici, davvero Bergamo non è stata a guardare. Tutti i big della nostra imprenditoria hanno fatto quadrato attorno a Ubi, terza banca del Paese per capitalizzazione di Borsa, nata e cresciuta sulle radici della Popolare di Bergamo. «Finalmente», si sentiva ripetere ieri in città.

Chiariamo subito: è evidente che in una società per azioni il 2,273% (pari a oltre 20 milioni e mezzo di azioni per più di 80 milioni di euro) detenuto dai 65 azionisti del Patto è un primo passo. Intanto, comunque, già oggi è la quarta partecipazione più consistente dopo i grandi fondi internazionali Silchester international e BlackRock e la Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo ed è davanti per qualche decimo di punto alla Fondazione Banca del Monte.

Questo blocco di sindacato, che si auspica in crescita anche con l’adesione di piccoli azionisti, è un punto di partenza importante: tenere alta la voce di Bergamo, che ha plasmato un gruppo ammirato e corteggiato per la forza dei suoi numeri, non è più solo un’idea. C’è chi ci ha messo la faccia e i soldi, che magari potranno aumentare, accettando la sfida del mercato, qui nella terra dello spirito popolare, dove sono migliaia i risparmiatori che di generazione in generazione hanno creduto e credono in questa banca.

Certo, è da vedere poi quale sarà l’incidenza concreta sulle scelte e le strategie. I temi non mancano. L’appuntamento con l’assemblea elettiva del 2 aprile è dietro l’angolo: il Patto dei Mille punta a una «governance di qualità, in linea con gli standard richiesti dai regolatori europei e dai mercati». Il pressing per un intervento di Ubi nella soluzione dei problemi di Mps appare serrato, nonostante i vertici abbiano declinato l’invito: nessun dossier aperto, grazie. Il bancone, con la probabile fusione nella capogruppo delle banche rete, Popolare di Bergamo compresa, è un cantiere aperto. A marzo 2017 scadrà il tetto transitorio del 5% al diritto di voto. E molto altro ancora.

Il primo annuncio del Patto dei Mille non è entrato evidentemente nello specifico degli indirizzi. Ha indicato però qualche punto fermo: una logica da public company, l’autonomia, l’indipendenza e la specifica identità di Ubi, il servizio ai territori per la crescita e lo sviluppo, «anche in caso di modificazioni strutturali che dovessero interessare la banca e realizzarsi in futuro». Senza dimenticare che la banca è innanzitutto raccolta e prestiti, ma è pure crocevia di partecipazioni strategiche, che nei decenni ha contribuito a costruire lo sviluppo anche infrastrutturale dei territori in cui opera.

Ubi è la terza banca del Paese. È la banca di Bergamo e di Brescia. Di Cuneo e di Varese. Di Pavia e di Milano e via di questo passo. Il Patto dei Mille ha già varcato i confini provinciali, con Confindustria di Varese e di Pavia, che hanno aderito insieme a quella di Bergamo, e si è dichiarato aperto a collaborare con altri azionisti e raggruppamenti che ne condividano le linee guida: un’alleanza a cavallo dell’Oglio sembra nelle cose. In attesa di capire come andrà a comporsi lo scacchiere, il Patto dei Mille ha fatto la prima mossa: compatta e concreta.

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