Inverno faticoso
La primavera verrà

Argomenti urticanti, quelli imposti dalle ricorrenze di questi giorni. Si deve parlare di morte. Si deve. Anzi, è in gioco, nelle feste di inizio novembre, una strana pena del contrappasso. Di solito non si parla di morte: argomento proibito, come si sa. Arrivano le feste di inizio di novembre e la logica della liturgia vorrebbe che si parlasse, equilibratamente, della vita futura per la festa dei santi, e della vita passata che non c’è più, nel giorno dei morti. Invece, la sensibilità corrente lascia scivolar via la festa della speranza e si concentra su quella della memoria e del rimpianto. L’inizio di novembre è soprattutto tempo di morti.

Così la cultura corrente che rifiuta di parlare di morte è costretta a farlo, per sua scelta e, dobbiamo immaginarlo, suo malgrado. Anche se poi va notato che questi giorni sono gli unici in cui se ne parla. Per cui non è fuori posto sospettare che se ne parla molto all’inizio di novembre proprio per non parlarne più dopo.

Così un dato che ci appartiene così profondamente – la nostra fine – continua a restarci estraneo. Ognuno se lo cucina come vuole, se vuole. «Guarda come la morte è scritta in tutto il nostro corpo – mi dice un amico che, devo rassicurare, non è né depresso né deprimente -. Guarda le mie mani». Accosta le due mani e le stende: «Le palme incominciano a incresparsi. Ma il dorso è quello che “parla” di più…». Chiude e apre le dita più volte. «Le vedi queste fittissime increspature della pelle, queste macchioline nere: tutte cose comparse negli ultimi tempi. Sono comparse insieme con le rughe della fronte». Si abbassa e mi offre la fronte come se toccasse a me ispezionarla. «Mi viene un’idea strampalata - aggiunge - le nostre increspature della pelle, le nostre rughe sono la segnaletica vistosa del tempo che passa. Mi fanno ricordare gli alberi. Hai visto ancora una grande pianta tagliata? Impressionanti quegli anelli, gli anelli di crescita: si chiamano così. Ogni anello è un anno e può dirci molto sugli avvenimenti che hanno segnato la vita dell’albero: siccità, piogge abbondanti, incendi, epidemie e malattie causate da insetti. Le nostre rughe e le increspature delle mani sono i nostri anelli di crescita. Ma sono molto meno precise di quelle degli alberi. Succede infatti, e spesso, che chi è giovane ha già le rughe e chi è vecchio non le ha ancora e non è possibile stabilire corrispondenze precise fra le rughe e gli anni. Il nostro corpo è un indicatore approssimativo…».

Si ferma e sorride, con un evidente pizzico di soddisfazione: mi ha detto cose che gli appartengono profondamente, ma che non ha la possibilità di potere, qualche volta almeno, condividere. Conclude con uno sprazzo di definitiva saggezza: «Il nostro corpo è un indicatore approssimativo perché noi, noi animali ragionevoli, disponiamo di altri indicatori molto più complessi per ricordare il tempo che passa, la vecchiaia che arriva e – mi guarda, mi sorride – la morte che è alle porte e sta per bussare… Abbiamo la coscienza, l’intelligenza, la memoria. Io so, dovrei sapere, conclude, che sono ormai all’inverno inoltrato». Il mio amico ha 72 anni e, lo ripeto, non è né depresso né deprimente: lucido, semplicemente.

Mi piace, quell’immagine dell’inverno inoltrato. Immagine poetica che non pretende di dire molto, ma che si accontenta di suggerire qualcosa. Suggerisce, infatti, sommessamente, la possibilità di guardare avanti senza disperarsi. Dopo l’inverno viene la primavera. Solo che, mentre si attraversa l’inverno si sa benissimo che cosa sono e il freddo e la neve e la pioggia. Si sa benissimo per il semplice fatto che freddo, neve e pioggia ci sono già, mentre la primavera non c’è ancora.

In questi giorni predicatori appassionati parlano del paradiso e talvolta ne parlano con apprezzabile entusiasmo che però semplifica tutto e troppo e andare in paradiso diventa semplice come passare alla stanza accanto. Ma del paradiso si sa poco, anzi, a essere precisi, non si sa nulla. Si sa solo che c’è. La fede nell’altra vita, nel paradiso, è uno struggente atto di fiducia. O c’è quella fiducia o si rischia non solo di vivere male il freddo dell’inverno ma di mancare anche il tepore della primavera.

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